martedì 24 luglio 2012

Aula Audiovisivi 2 - Gioventù, amore e rabbia





Running has always been a good thing in our family,
especially running away from the police.
It’s hard to understand, all I know is that you’ve got to run.


Comincia con queste parole, e l'immagine da dietro del ragazzo che corre al lato della strada, lungo i campi. So da subito che non mi dimenticherò più del film.

Schiaccio lo stop, tiro fuori il VHS. Ha un’etichetta, come tutti quelli dell’aula audiovisivi.

“GIOVENTU' AMORE E RABBIA, RICHARDSON, 1962”

Sono chiuso nell’aula, fuori dalla finestra novembre ha sporcato il blu del cielo, e la stretta che mi arriva mentre sto qui con la cassetta in mano la conosco bene.
Perderò il conto, delle volte che tornerà a farmi visita.
Quando arriva la stretta sento le gambe che si liberano da qualche parte, oltre la finestra.

Questo, sento, ma sono ancora qui con la cassetta in mano e sto per fare una scelta.
Il sapore che mi lascia quella scelta non lo posso raccontare: mi aspetta un altro tipo di corsa, a questo giro.
Premo play.

Colin guarda i campi innevati fuori dal finestrino della camionetta di polizia. Sta per finire in riformatorio, deve essere poco più grande di me.

Sto guardando una storia di redenzione. Da come agguanta lo stomaco direi che è così.

Le presentazioni dei personaggi sono pura perfezione anglosassone. Ognuno disegna sè stesso, il proprio intento, e la sua parte di scenario del film.

Pochi minuti e tocca a Colin stesso.

Il detenuto a capo dell'ala di alloggi dove viene assegnato il gruppo di Colin spiega a tutti che non intende rinunciare a nessun privilegio a causa di eventuali insubordinazioni dei nuovi arrivati,

and always remember, that they've got the whip hand

e ricordate, aggiunge, che sono loro ( il direttore e le guardie ) ad avere la frusta da parte del manico.

Colin:
Do you know what I'd do if I had the whip hand?
I'd get all the coppers, governors,
posh whores, army officers, and members of Parliament
 and stick them up against this wall
and let them have it,
because that's what they'd like to do
to blokes like us.

I blokes like us sono ragazzi di periferia, nello slang dei sobborghi.
La storia di Colin non è diversa da quella di tutti gli altri che ha accanto.
Nati senza fortuna, abbruttiti dalla mancanza di prospettive, schiacciati da un paese senza pietà per gli ultimi, hanno tentato di ribellarsi ad un futuro di miseria, ed hanno fallito.
Ma anche in riformatorio, a quei blokes è rimasto qualcosa.

- Well, you'll learn.

sentenzia il caposquadra 

- We'll see.

Finisce Colin.

Il resto del film parla di questo.

"Di come un ragazzo che ha perso il padre in un incidente al lavoro scelga il suo posto in una società che sembra poter solo pretendere da quelli come lui."

Due giorni dopo, all'esame di semiologia del cinema, davanti all'assistente del professore, un altro ragazzo poco più grande di me, spiaccico esattamente le ultime tre righe.

Anche seduto davanti a lui vorrei correre, ma per un altro motivo.

Per esempio, perchè mi ha appena chiesto di specificare, e io non so cosa stampargli.
Magari, se mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di qualche altro bloke, una battuta su governatori e fruste viene anche a me.
Ma gli altri intuiscono il culo che mi sta facendo l'assistente e non sembrano incoraggianti.

"parla di denuncia sociale..." la butto lì.

L'assistente non molla: "...ti ricordi qualche scena dove è più esplicita, questa denuncia?"

"Bravo cazzo, così spoilero tutto..." La battuta sarebbe ottima, ma la tengo per me. Il voto all'esame mi preme un pò di più.

Quello che mi è sempre piaciuto degli assistenti del corso di cinema è che sono tutti sveglissimi. Lui infatti ha capito da un pò, ed inizia ad imboccarmi.

"ti ricordi la scena dove il protagonista ed il suo amico sono davanti al televisore nuovo che trasmette il discorso di un politico e loro tolgono l'audio?"

Allora calo la maschera. Gli dico di no. Gli dico che due giorni prima ho visto l'inizio del film, e il giorno prima dell'esame la fine.

Gli dico che il film è stato considerato dalla critica il padre della Nouvelle Vague inglese, fratello di sangue (dico così: di sangue) dei Quattrocento colpi di Truffaut. Gli racconto la scena dell'interrogatorio di Colin e quella di Antoine Doinel, e la scena del finale di Gioventù amore e rabbia, così simile da quella di Truffaut, così diversa da quella di Truffaut.

La scena finale.
Gli racconto di come mi sono innamorato di quella parte di racconto, e di come sto per non essere riuscito a vedere il resto del film, avendo guardato di corsa trenta ore di video tra film e cassette antologiche per riuscire a dare l'esame nei pochi giorni che ho preso di libertà dal lavoro.

Gli dico che secondo me parla di denuncia sociale, si, ma di un'altra cosa, che sento anche di più.
Lui mi chiede cosa, io sento le gambe che si liberano, e vorrei parlargli del sapore di scelte che facciamo a volte ma che non posso raccontare.

Così mi fermo, e lo guardo.

"Ho studiato di corsa" dico, e sorrido.

O resta impressionato o decide che se la beve. Purtroppo è anche vera.

28, dice. Di più non posso darti.

Quello che mi è sempre piaciuto, degli assistenti e degli insegnanti del corso di cinema a Pisa, è che sono blokes like us.

Tengo il 28, lo ringrazio, esco.

Una settimana dopo ho un altro esame, poi una serie impossibile di consegne appena rientro al lavoro.

Qualche mese dopo, ricarico la stessa VHS nella stessa aula.

Al pensiero di tutta la roba che ho guardato in quei pochi giorni, a casa e in aula senza fermarmi quasi mai chiudo gli occhi e sento ancora le gambe correre.

Il film, scoprirò poi, è tratto da un libro, ed il titolo originale è The loneliness of the long distance runner.

Questa volta lo guardo tutto.

E' un premio meraviglioso, che consegno a me stesso.

sabato 7 luglio 2012

Aula Audiovisivi - Presentazione


Tempo fa ho scritto questo.

Parla di questa traccia che Tarkovskij mi ha lasciato addosso, con quel film.
Mi è accaduto spesso.

La prima volta che ho visto quel film ero in Aula Audiovisivi, Dipartimento di Storia delle Arti, Piazza San Matteo in Soarta, a Pisa.

Nel mio ricordo sono cinquanta metri quadri di aula circa, circa quindici postazioni video.
Ogni postazione video è una sedia con un televisore ed un registratore VHS davanti. Ai lati, due pannelli di legno bianchi per isolarti nella visione. Di là da ogni pannello, un'altra postazione ed un'altro come te. Una specie di rito individuale collettivo: come una confessione, o meglio, un battesimo. Sul tavolo di fronte a te, un paio di cuffie.
In fondo alla sala c'era una mensola piena di cassette VHS coi film più importanti dei corsi di Storia del Cinema e Semiologia del Cinema.
Muybridge, Porter, Griffith, Lumière, Lang, Vertov. Su fino a Wells, Truffaut, Fellini, Hitchcock, Ivens, Ferreri.
Solo una minima parte degli autori, come mi torna alla memoria.

Come guardare dall'alto di una collina una mandria di splendidi stalloni al galoppo, giù nella prateria.

Anche se per chi ti guardava, eri solo un nerd qualsiasi che poteva impiegare anche venti minuti a scegliere una pallosissima VHS.
Alla fine sceglievi il tuo insegnante della prossima ora e mezzo, prendevi la VHS, la offrivi in pegno al registratore recitando una qualsiasi preghiera al Dio dell'Analogico o ai suoi santi ( ave, Rybczynski, morituri te salutant.. ), sperando tutto funzionasse. E ti preparavi allo spettacolo.

Quell'aula è stata una scuola a parte, una storia del cinema a parte, ma anche un'adolescenza a parte. Per me e spero per molti altri.

Le cose sono cambiate. Il mondo come lo conoscevamo è andato perduto. Un nuovo Dio è arrivato e ci ha costretti alla conversione.

La leggenda narra di cassette rinchiuse in un archivio. Di quest imposte agli studenti per liberarle ed assistere ancora alle rivelazioni.

Questo è un diario degli insegnamenti che il Dio dell'Analogico ci ha reso in quegli anni, perchè non vadano perduti.

Qui, in seno all'impero del Dio del Digitale, di quando in quando vi condurrò in segreto in quel vecchio tempio per rendere a voi il testamento del nostro Dio perduto.

Sempre che il registratore non si mangi il nastro. O che non vi facciate due palle così.