giovedì 17 dicembre 2009

LAVORARE. LIBERI.


Riguardo tutto il filmato.

Penso a quando siamo andati a girarlo, io e Fede, al paese.
Era ferragosto.

Come comincia, questa storia.

L'inizio non ci piace, l'inizio non va.
Il Presidente della Condomini ci vorrebbe qualcosa, come un'esplosione, una varata, un libro fatto in 3d che si apre.
Navighiamo a vista, chiedo al Presidente se possiamo girare qualche scena con i soci storici.

Non sono molti, un gruppo di anziani riservati.
Tre di loro accettano, ce li facciamo bastare eccome.

Uno di loro è Isaia. Lui lo sa come inizia la storia: non quella finta dentro il nostro obiettivo e i nostri hard disk, quella vera.
Lui l'inizio ce l'ha in salotto: lo respira tutte le volte che si siede a quel tavolo, gli parla la sera, quando hai finito con la cena ma non puoi ancora andare a letto.

Si scaldano con lo stesso camino, d'inverno, Isaia e l'inizio della nostra storia.

Ce lo dice: era tutto qui. Ci eravamo riuniti per decidere, per vedere chi ci stava a cominciare.
A telecamera spenta, lo dice.
Non mi fate parlare, eh! non mi intervistate che io...
Gli trema già la voce, si sbrodola negli occhi..

Sorridiamo. Tranquillo, gli dico. Prendiamo solo due immagini, si può mettere alla finestra, come se guardasse fuori?
Cerco il posto alla telecamera, non ho tempo, ma mi fermo un attimo e lui è lì, sereno, chissà cosa vede di fuori.

Questo sabato, 19 Dicembre, alle ore 16:00 all'Albergo Vallechiara di Levigliani, c'è la presentazione del documentario LAVORARE LIBERI,

di Federico Stagi e me.

Sono riuscito a liberarmi dal lavoro e dagli impegni, e vado.

Il lavoro ha i suoi limiti, ne siamo coscienti, imposti da un milione di cause che non starò qui, non ultima nè io nè fede siamo documentaristi con anni di esperienza alle spalle.
Si può migliorare e lo miglioreremo di sicuro.
Ma ci siamo affezionati, a questo lavoro.
E tanto.

Io per due motivi, che sono due mancanze.

La prima ha a che fare con Isaia, Isaia Battelli.
E con tutti loro.
"E lassù non c'era nulla" dice ancora, Isaia, la voce che non ne vuole sapere di stare ferma.
"non c'era nè acqua, non c'era strade, non c'era viottoli, non c'era nulla"
un altro, si chiama Emo, finisce per lui:
"sono partiti in tre o quattro della cooperativa col badile, la pala, il canestro sulle spalle e sono andati lassù a lavorare incima al Corchia.
Cosa grave, che è stata."
dice, come un alunno delle elementari ti ripete la tabellina: la telecamera puntata addosso fa questi scherzi.
Poi sorride.
"beh, insomma. Siamo sempre qua."

Alberto:
"mi ricordo che nel 1956, al momento della nascita della cooperativa, c'era molto entusiasmo, e voglia di lavorare in Libertà"

Ancora Isaia.
"A quel tempo non è che andasse tanto bene, andava male. Era un lavoro bestiale e un lavoro.. brutto, via."
"via" lo dice spezzato, poi si deve riprendere ancora. E' più forte di lui.

L'altro si chiama Natale:
"trecentoventiquattrore, in un mese. Én tante, eh?
Facevo la giornata, la nottata in cava, e la mattina dopo andare alla Lizza."
Sembra abbia fatto una monellata, mentre te lo racconta.
"Perchè tra l'altro, eravamo uniti, noi. Avevamo una forza! Ma no solo io, eh. Tutti, tutti insieme. Nella speranza di che ci fosse una fortuna migliore."

non è letterale, non tutto, quello che riporto.

Lavorare Liberi è la storia di un paese, Levigliani, che ha comprato il monte Corchia dall'ultimo dei De' Medici.
Questi vecchi si sono costruiti da soli le cave e la strada per arrivarci.
Una strada intera, ci passano i camion da più di trent'anni.
Lavorato notte e giorno per mesi interi, guadagnato niente per decenni, dormito in capanna, rischiato la vita a ogni passo sotto tonnellate di pietra.

Lo raccontano e hanno voglia di ridere, non trattengono niente, si ingarbugliano nel dialetto, partono che non hai finito la domanda.

Stavo cercando di capire se prendere il lavoro, perchè mi sembrava un'epopea, e forse non ne valeva la pena.
Ho chiesto a Fede una mano, se lo avessi fatto da solo mi sarei dovuto chiudere in studio per dei mesi a fare solo quello, e non me lo posso permettere.

In una mail di risposta Fede disse che non potevamo rifiutarlo, era troppo bello.
"Io questi qui" dice in quel momento Fede, che ha il loro stesso accento e la loro stessa tempra, "li vorrei al governo"

Ho stretto la mano ad alcuni di loro.
Questa mano qui. Che non sa piantare un chiodo.
A quelle mani lì.
A isaia, per primo, me lo ricordo come ora. Era emozionato. Lui.
A volte è veramente strano, come siamo.

Isaia è mancato poche settimane fa. Aveva più di ottant'anni.
Io sono fortunato, che l'ho conosciuto.

Porto tutti loro con me, come un esempio. Di chi ha voluto lavorare libero dal padrone, e ha pagato sacrifici enormi, e qualche moccolo, per sè e per le generazioni a seguire.

Come me, e probabilmente di più, Fede.

Che è il secondo motivo. E la seconda mancanza.

Perchè siccome il destino è un pò un bastardo, proprio Fede sabato alla presentazione non ci sarà.
Deve lavorare, sabato.
E così non otterrà quel riconoscimento che gli è dovuto.

Perchè lui questo lavoro, anche per motivi di sangue, l'ha sentito più di me.

E alla fine, è per lui che tutto è finito così bene.
Io sto a Roma, rincorro altri mille lavori, perdo la pazienza, manco in momenti importanti.

Federico Stagi non ha fatto una piega mai.
Se cedevo un attimo, si accollava tutto lui.
Se c'era una rottura di palle, potevo star tranquillo.
Mi veniva a prendere alla stazione, portava a casa, rimpinzava di roba cucinata dalla Ale, che se c'è qualcosa lassù l'ha cucinato la Ale, e si sorbiva ore di sbroccamenti da parte del sottoscritto.
Intanto, faceva da sè più di metà del lavoro, e correggeva il mio.

Michel Platini diceva che il capocannoniere del campionato Italiano sarà sempre chi giocherà a fianco di Boniek.
A parte che gli juventini mi stanno sulle palle, io di Platini non ho nemmeno le stringhe.
Ma se mi mandate in campo con Fede, vinco anche io.

Sono buoni tutti, così.

Lo so, ho rotto le palle.

L'ultima cosa, vorrei essere chiaro.

L'inizio della storia l'abbiamo trovato.

C'è il monte, ci sono Achille, Natale, e Isaia che guardano verso il monte, fuori dalla finestra, che tornano in casa, leggono sul registro la storia della cooperativa mentre le voci degli altri ricordano com'era all'inizio.
C'è la loro foto, tutti attorno a quel blocco.

Per me, è l'esplosione più forte che che ci sia.

Durante le riprese, alla fine ho chiesto loro di alzare lo sguardo dal registro e sorridere guardando in alto.
E' stata una ruffianata, una specie di trucchetto da vecchio operatore di cinegiornali.

Nessuno di loro, infatti, era naturale.
Il sorriso usciva storto, a tutti, anche se ci provavano con tutte le forze.

Quel sorriso lì, storto, con tutto me stesso, mi è rimasto a me.
Ce l'ho ancora, mi fa sentire scemo, a volte.

A volte credo che sia semplicemente tutto lì.


E qui c'è il trailer: è un pò pochino, e ne uscirà uno meglio,
ma per ora basta questo qui.





venerdì 4 dicembre 2009

EVO - Il tempo delle fiabe

Quando un poeta latino iniziava una satira, per primo usava questa formula.

Primum ego me illorum dederim quibus esse poetis,

exceperam numero…

Per prima cosa io mi toglierò dal numero di coloro ai quali concedo di essere poeti

Ingenium cui sit, cui mens divinior atque os

magna sonaturum, des nominis huius honorem…

A chi possegga ingegno, a chi una mente più che divina e una bocca

destinata a sublimare cose grandi, a costui devi concedere l’onore di questo nome…


è un esempio tratto da Orazio.

Dice, lui: non mi chiamate poeta, non sono un poeta.

C'è gente più brava di me, che ha l'ispirazione degli dei, quella vera, e che quindi scrive generi molto più aulici, molto più elevati stilisticamente e per contenuto del mio, io voglio solo scrivere una satira.

E' solo un esempio.

Il fatto di chiedere scusa, appunto, per non avere la forza d'animo e di espressione per trattare temi più aulici ( al tempo leggasi anche commerciali ) era una formula fissata, che ritorna all'inizio di molte satire.

In realtà credo che ai tempi fosse un pò un convenevole, un pò una ruffianata... in entrambi i casi molto meno di quello che sto per fare io, al momento di parlare di Evo.

Evo è una miniserie a Fumetti, di cui sono autore insieme al compagno di briscola di una vita, Tommaso De Stefanis.

Il secondo volume di Evo, Il tempo delle fiabe, è appena uscito alla Fiera dei Comics di Lucca.

Andrea Del Campo, il disegnatore, ed Eleonora Dea Nanni, che ha disegnato l'epilogo della storia, hanno portato a termine un lavoro da veri Professionisti.

Tommaso De Stefanis e Io abbiamo firmato la sceneggiatura.

Notte, una scuola occupata, una ragazza che ha strane visioni di un fiume e decide di confidarsi.

Il nostro rapporto difficile con la realtà di tutti i giorni.

Evo comincia così.

Nelle tavole di un grande Francesco Trifogli, qui sotto, Fiore ha raccontato tutto ad Ezra, il ragazzo che si è innamorato di lei senza dirglielo.

Visioni, mostri, matti del paese ed assassini sanguinari.

Ezra le risponde con quello che sa, sull'esclusione e sulla realtà.

Massa, lo scoppio della farmoplant, il bambino, le visioni, il fiume.

Il fumetto, la realtà.

Queste sono le pagine di Evo a cui sono più affezionato.

Forse perchè le ho scritte io.

Forse perchè provano a portare il nostro mondo di provincia coi suoi drammi e le sue piccole rivalse da un'altra parte, cosa che non ho più fatto, da allora.

Non più in questo modo.

Montale aveva detto: Cerca una maglia rotta nella rete

che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!

Va, per te l' ho pregato, - ora la sete

mi sarà lieve, meno acre la ruggine...

Evo lo trovate in molte fumetterie, e fra poco anche nelle librerie, probabilmente.

Evo ha avuto il grande pregio di tenermi la mente sveglia e la voglia di scrivere nei momenti più bui di questi dieci anni, fino qui.

E' stato la mia ancora, è buffo, quando per me la realtà era veramente difficile e non riuscivo a lasciare andare l'immaginazione, se non con queste storie.

Col tempo, ho maturato la convinzione che quello che ci circonda veramente è molto meglio di ogni storia che possiamo inventare.

Quando ho scritto Evo, la pensavo diversamente. A volte, l'evasione è necessaria.

A volte è il tempo per le fiabe, anche se come questa hanno toni più scuri e metropolitani.

mi scuserete, se per questa volta non ho parlato una lingua più degna.

Ingenium cui sit, cui mens divinior atque os

magna sonaturum, des nominis huius honorem…

venerdì 27 novembre 2009

Qualche minuto anche per Carla

( o anche: com’é non ci abbiamo dato su )

Carla ha più di sessant’anni, sicuro.

Forse si avvicina anche ai settanta, e se lo dico, giuro, è solo per farle un complimento.

Ecco perché:

dopo un’intera vita vissuta a tirare su tanto di famiglia, figlioli e poi nipoti, lavoro casa letto lavoro, tra i piccoli interessi personali che è riuscita a strappare ad un’esistenza fitta di impegni, tempo fa ha deciso di comprarsi una piccola telecamera portatile, e di usarla per raccontare.

Mica facile, non so se ci avete provato.

Le volte che vorresti prendere un paesaggio e infilarlo dentro l’obiettivo con l’imbuto; piazzare lì la camera e farci entrare il tuo soggetto a spinte, bestemmie, calci.

Le volte che riguardi tutto e no. Cristo no. Non era così.

Le volte che hai spento appena prima che ti dicessero la frase più bella, perché quasi ti vergognavi a fartela dire, o che ti viene il momento dello spastico e l’inquadratura ti si muove nel preciso attimo del Giudizio Universale.

All’inferno dice le inquadrature vengono sempre mosse.

Per niente facile, stavamo dicendo, con la telecamera.

E poi devi avere un computer, imparare ad acquisire le immagini, trovare un programma per montarle insieme e completare i tuoi filmati.

C’è gente che chiama l’arbitro per il cambio solo a pensarci.

Lei no.

Carla ha ripreso, trovato il computer, imparato a montare.

Alla sua età e tutta da sola, con i mezzi che aveva, Carla ha realizzato due piccoli documentari.

Per il piacere che mi ha dato guardarle, due opere molto migliori di lavori finanziati dallo stato e realizzati da colleghi professionisti, blasonati ed attrezzati.

Alla sua età, Carla si meraviglia, innamora, coinvolge in quello che fa come non vedo fare spesso.

Io arrivo a questo punto qui.

Non dell’amore, del terzo documentario.

Era quasi un anno fa, che ho cominciato ad insegnarle a montare su Final Cut, il programma di montaggio per machintosh.

E a darle, sul filmato che stava preparando, i consigli che potevo, nel mio piccolo.

Lei si indispettisce, offende un poco, diverte, riempie di aspettative, preoccupa, illumina.

Io mi diverto, sdiverto, affretto, tranquillizzo, incuriosisco, dispero, diverto un’altra volta.

Carla non mi riesce metterla in nessun modo se non così:

succedono cose contro ogni statistica e previsione, che sono vive e diverse da come immagini e le avresti volute a tutti i costi se solo sapevi che potevano avvenire.

Avvengono, vaffanculo, e finisce che ci ridi su.

Se ci penso, forse faccio questo lavoro per lo stesso motivo.

Forse è per questo che mi piace così tanto.

A Fellini era appena andata bene con La Dolce Vita.

Ma bene bene. Bene che altro che botto.

Allora si mette a fare quest’altro film e qualche genio, qualche genio c’è sempre, prova a sparare:

se La Dolce Vita è andato così, tutti si aspettano qualcosa del genere, allora il nuovo film lo chiamiamo La Bella Confusione, così la gente vede il titolo simile e lo viene a vedere.

Anche perché nel nuovo film di confusione ce n’era, altro che.

Magari qualcuno di voi questa l’ha già sentita. Speriamo me la ricordo bene.

Che Fellini però si portava dietro questa cartellina, e c’era scritto sopra 8 e ½ , perché era il suo ottavo film e aveva fatto un corto, che contava per metà..

Quindi abbiamo capito che il film alla fine non si è chiamato La Bella Confusione.

La Bella Confusione me lo riciclo io per Carla, che gli devo ripetere i comandi 1000 volte e non li impara mai, che mi inizia una domanda e la lascia a metà per finirne un’altra che non ha iniziato.

Che gli faccio un montato e lei me lo cambia e poi dice che sono stato io.

Ma però mi garbano, queste cose.

Confuse, e belle.

Lei me l’ha detta così, una delle prime volte, citando qualcuno che mi perdonerete, se non so chi è, o se sbaglio qualche parola:

“Perfection is terribile, it cannot have children."


martedì 17 novembre 2009

Il primo volo che guarderanno loro


Di questi giorni un gabbiano può lasciarsi andare dal tetto di casa mia e arrivare fino al tevere senza quasi un battito d'ali, sempre tenendo d'occhio San pietro.

Per via del vento.

D'altronde si sono preparati il numero benissimo, li ho visti una decina di volte.
Ora stanno dormendo.
Domani mattina si sveglieranno, si daranno appuntamento sul cornicione, e mi vedranno ancora fluttuare tra queste antenne, che ho deciso di lasciarmi andare anche io, e sono qui che scrivo.

Sono mica bravo come loro, io.
Non so colorare le finestre, mettere le mie cose video, cambiare i font, dare un'impaginazione che vorrai fare le cose a modo per una volta, direbbe la Marì.
No, io sono un'altra roba.
Mi butto e volo tutto storto e incomprensibile, mica come loro.

Domattina da sul tetto mi guarderanno per aria e diranno guarda che pagina bianca, due link li potevi mettere, cinque minuti li potevi spendere.
Pi si butteranno, loro, e li troverò volteggianti intorno, sicuri.
Qualcuno di loro mi darà una dritta, qualcuno si farà una risata, a qualcuno farò tenerezza.
Forse qualcuno mi lascerà anche un commento.

Ragazzi, ragazze,
l'ho fatto perchè volevo sentirmi andare, volevo sentirmi bello come vi vedevo da qui.
Volevo farlo.

Vedrete che un modo lo trovo: due link li caccio, qualche giravolta verrà anche a me.
Secondo me ci divertiamo.
Ora vi lascio dormire.

Che poi sono gabbiani.
Gli importa una sega a loro.

A.