( o anche: com’é non ci abbiamo dato su )
Carla ha più di sessant’anni, sicuro.
Forse si avvicina anche ai settanta, e se lo dico, giuro, è solo per farle un complimento.
Ecco perché:
dopo un’intera vita vissuta a tirare su tanto di famiglia, figlioli e poi nipoti, lavoro casa letto lavoro, tra i piccoli interessi personali che è riuscita a strappare ad un’esistenza fitta di impegni, tempo fa ha deciso di comprarsi una piccola telecamera portatile, e di usarla per raccontare.
Mica facile, non so se ci avete provato.
Le volte che vorresti prendere un paesaggio e infilarlo dentro l’obiettivo con l’imbuto; piazzare lì la camera e farci entrare il tuo soggetto a spinte, bestemmie, calci.
Le volte che riguardi tutto e no. Cristo no. Non era così.
Le volte che hai spento appena prima che ti dicessero la frase più bella, perché quasi ti vergognavi a fartela dire, o che ti viene il momento dello spastico e l’inquadratura ti si muove nel preciso attimo del Giudizio Universale.
All’inferno dice le inquadrature vengono sempre mosse.
Per niente facile, stavamo dicendo, con la telecamera.
E poi devi avere un computer, imparare ad acquisire le immagini, trovare un programma per montarle insieme e completare i tuoi filmati.
C’è gente che chiama l’arbitro per il cambio solo a pensarci.
Lei no.
Carla ha ripreso, trovato il computer, imparato a montare.
Alla sua età e tutta da sola, con i mezzi che aveva, Carla ha realizzato due piccoli documentari.
Per il piacere che mi ha dato guardarle, due opere molto migliori di lavori finanziati dallo stato e realizzati da colleghi professionisti, blasonati ed attrezzati.
Alla sua età, Carla si meraviglia, innamora, coinvolge in quello che fa come non vedo fare spesso.
Io arrivo a questo punto qui.
Non dell’amore, del terzo documentario.
Era quasi un anno fa, che ho cominciato ad insegnarle a montare su Final Cut, il programma di montaggio per machintosh.
E a darle, sul filmato che stava preparando, i consigli che potevo, nel mio piccolo.
Lei si indispettisce, offende un poco, diverte, riempie di aspettative, preoccupa, illumina.
Io mi diverto, sdiverto, affretto, tranquillizzo, incuriosisco, dispero, diverto un’altra volta.
Carla non mi riesce metterla in nessun modo se non così:
succedono cose contro ogni statistica e previsione, che sono vive e diverse da come immagini e le avresti volute a tutti i costi se solo sapevi che potevano avvenire.
Avvengono, vaffanculo, e finisce che ci ridi su.
Se ci penso, forse faccio questo lavoro per lo stesso motivo.
Forse è per questo che mi piace così tanto.
A Fellini era appena andata bene con La Dolce Vita.
Ma bene bene. Bene che altro che botto.
Allora si mette a fare quest’altro film e qualche genio, qualche genio c’è sempre, prova a sparare:
se La Dolce Vita è andato così, tutti si aspettano qualcosa del genere, allora il nuovo film lo chiamiamo La Bella Confusione, così la gente vede il titolo simile e lo viene a vedere.
Anche perché nel nuovo film di confusione ce n’era, altro che.
Magari qualcuno di voi questa l’ha già sentita. Speriamo me la ricordo bene.
Che Fellini però si portava dietro questa cartellina, e c’era scritto sopra 8 e ½ , perché era il suo ottavo film e aveva fatto un corto, che contava per metà..
Quindi abbiamo capito che il film alla fine non si è chiamato La Bella Confusione.
La Bella Confusione me lo riciclo io per Carla, che gli devo ripetere i comandi 1000 volte e non li impara mai, che mi inizia una domanda e la lascia a metà per finirne un’altra che non ha iniziato.
Che gli faccio un montato e lei me lo cambia e poi dice che sono stato io.
Ma però mi garbano, queste cose.
Confuse, e belle.
Lei me l’ha detta così, una delle prime volte, citando qualcuno che mi perdonerete, se non so chi è, o se sbaglio qualche parola:
“Perfection is terribile, it cannot have children."