domenica 20 febbraio 2011

Esche Vive


Le sto parlando di questo post, di cosa vorrei scrivere: del libro che ho letto, e del mio problema fisico.

"Che problema?" fa lei.
"Un problema allo stomaco."
"Stomaco?"
"Si, troppo aderente."

Non capisce.

"Ho le pareti interne dello stomaco molto aderenti, è un difetto come chi prende un pò di vento e ha subito il mal di gola, come chi mangia qualcosa e ingrassa subito, o chi prende a starnutire.."

"A te cosa succede?"

Sorrido, e gioco la carta.
Succede che se provo un'emozione mi ci si attacca subito, allo stomaco. Lo stesso per le parole.
Mi capita a volte che sono fuori con altra gente per una festa, che vedo i miei amici per una serata, e non spiaccico parola. Continuo a girare o fissare lo sguardo a caso, sorrido un pò, sento le parole ad una ad una attaccate da dentro, e so che non usciranno. Mi rassegno.

Lei appoggia un sorriso: "Ottimo per la gastrite..."

Ci sto: detta così sembra un pò brutta.
No, non è.
"Il lato positivo è che quelle emozioni, quelle parole..."
ci penso un pò. "In qualche modo sembra che le covi."

"E il libro che c'entra?"
"C'entra perchè quando incontro uno con il mio stesso problema lo riconosco subito."

Comincia a capire e ride.

"Come fai?"
"Non lo so, in realtà è una cosa che secondo me un pò succede a tutti, il fatto è che quando poi ti ritrovi a doverle tirare fuori, certe emozioni, certe parole, se sono attaccate troppo va a finire che un pò patisci.
Secondo me lo riconosco da quello. Riconosco il patimento."

"Io? ce l'ho il tuo problema?" rido anche io "Un pochino, come tutti, ma in genere è diverso.."
"Perchè?"
"Perchè in genere la gente non lo fa di lavoro.."
"Tu lo fai di lavoro?"
"Un pò si.."
"E perchè?"
Ci penso su..
"sai, non lo so. A questo punto però credo perchè è la cosa che ho fatto per più tempo.."

ride più forte "Che cosa, patire?"

Anche io rido più forte "Si... si! Patire!"

In quel momento ho capito cosa volevo dire di Esche Vive, il libro di Fabio Genovesi che è appena stato pubblicato da Mondadori.

Ho capito cosa penso del suo lavoro.

Non l'ho detto, lì per lì. Mi si è attaccato allo stomaco ed esce a pezzi, ora.

Insieme a tutti questi anni passati a parlare dei posti da cui vengo, scriverci racconti, fumetti, girarci video e documentari.
Finisce che con quei posti ti ci sei tappezzato lo stomaco come la camera da letto di un sedicenne.
E quando scegli, per campare, di frugarci dentro di tanto in tanto, ti ritrovi a chiederti se quello che peschi è vero, se puoi farlo.

Esche vive parla di tre ragazzi di provincia, di tre età diverse, che cercano di tirare avanti nel posto dove sono nati. Quindi, di forza, finisce per parlare di cosa hanno, certi posti, che ti tengono attaccato.

- Tutta la piana è tagliata da questi fossi collegati tra di loro, praticamente sono la stessa acqua che gira in vari canali dritti e stretti, coperti di limo e bordati di cannelle in mezzo ai campisenza verdura. E infatti c'è chi li chiama "i fossi" e chi "il fosso", perchè se prendi ogni pezzetto come una cosa a sè allora sono tanti, ma a vederli dall'alto sono un reticolo scuro come una gabbia nera addosso al paese. -

Parla anche di pesca, di bicicletta, di musica metal.
Delle prime due so poco, anche con la terza sono messo malino.
Ma in realtà c'è in mezzo un'altra minestra, di cui secondo me so qualcosa.
So il perchè uno che vive la sua vita dalle nostre parti finisce per scegliere una di queste, o un' altra passione, come la tiene per se, come ci lega ogni giorno che ha da passare, per tenerli meglio tutti insieme.

Mai guardata una corsa in bici.
Si, vergogna.
Mai anche pescato. Ancora vergogna.

Ma ho guardato della gente pescare,
Mi è sembrato che non fosse mica tanto importante cosa veniva su.
Mi è sembrato che l'importante fosse stare lì, col resto se ne sta in fondo, e tirarlo fuori un pezzo alla volta.

E ho guardato anche la gente ai bordi delle strade, alla televisione, sulle macchine prima e dopo la corsa.
Anche lì, mi è sembrato che vincere fosse solo una parte. Mi è sembrato che uno che corre a te che guardi basta ti faccia sentire la corsa, dentro la pancia.

Per me, qualcosa di questa corsa ve l'ho tirato fuori. Qualcosa resta dove deve stare, ancora per un pò.
Per uno che ha il mio problema è già tanto.

Tanto, ancora, è vedere qualcun altro che sul tuo problema riesce a realizzarci un presente.
O a pensarci un futuro.


- E mi sa che la vita è proprio questa cosa qua, un fiume di roba che ti arriva addosso tutta insieme, un pò la prendi e nemmeno ti accorgi che è passata, e magari era proprio quella che faceva al caso tuo. Ma non lo puoi sapere e nemmeno starci troppo a pensare, perchè stai ancora in mezzo al fiume e la roba arriva e passa e va.
Oppure la vita non è un fiume, magari la vita è un fosso, e allora il discorso è parecchio diverso. Perchè un fiume scorre e alla fine arriva al mare, invece un fosso non va da nessuna parte. Resta dritto così senza una meta e al massimo può sperare di incrociare altri fossi e confondersi con loro per un pò. E se c'è un senso in tutta quest'acqua che si sposta, io non lo so. So solo che ci sto volentieri, soprattutto se posso buttarci un'esca e pescare. -

Fabio Genovesi






sabato 5 febbraio 2011

Lettera da un luogo che non so


Le porte vedendomi dovrebbero aprirsi.

Ma c'è un cartello sopra, dice che non funzionano e bisogna farlo a mano.

Entro, il barista ci scherza subito.

"Sono il modello nuovo.." strizza l'occhio.

Gli chiedo un cappuccio, scelgo un bombolone, penso basti.
Altri due si calmano la fame chimica con un hamurger.
La radio dentro è alta, spara discoteca commerciale, uno dei due ragazzi zompetta a ritmo.

Mi mette il cappuccio davanti e guarda fuori:
- Ce la fai ad andare in giro col motorino? Come fai, mortacci, col freddo che fa! -

Come faccio - mi tengo tra me - ..ci salto sopra.

A lui gli sorrido. - anche qui dentro non si scherza. -
Butta il pollice alle spalle. C'è il fiume.
Si, me lo dovevo aspettare.

Escono i primi ragazzi, ne entrano altri due.
Poi un'altra ragazza.
Non vede il cartello, le apro io.
Il barista, ancora, sono del modello nuovo. La ragazza ride, balla anche lei. "aò ma nùn finisce più!"
Ce l'ha con la musica.
Il barista le strizza l'occhio "Me sa che te la porti fino a casa" poi si gira verso di me.
"Ancora tre ore così, poi stacco. Te no, vé? Te attacchi mò."
Mi prende alla sprovvista. Per un attimo sto zitto.
Lui ammicca anche a me. "Zì, da mezzanotte alle otto qui ce passa de tutto, ormai ve conosco!"
Eppure, lui non mi sembra uno che vorrebbe fare un altro lavoro.
Pago, saluto, mi chiudo fuori.
Il lungotevere è a sei corsie, completamente immobile.
Non devo pensare, devo saltarci sopra.

Li vedo passare nel freddo che morde. Quattro uomini, in tuta. Corrono e chiacchierano felici, ritmica perfetta.
Dall'altra parte della strada, lontanissimi.