venerdì 27 marzo 2015

L'Immagine del sole


Anni fa girai questo video, con la collaborazione di Sabine:



Giorni fa c'è stata un eclisse parziale di sole visibile dall'Italia,
l'ultima che ricordo era stata l'11 agosto del 1999.

Dopo tanto tempo, Sabine è tornata a parlare di quell'eclisse.


domenica 1 marzo 2015

Tipota den paei xameno




Continuavano ad arrivare, ammassarsi sotto il palco e ai piedi della Dea della Giustizia, che sembrava la piazza li chiamasse in qualche modo.

Piazza dell'Università, Atene, il palco da cui Tsipras chiudeva la vittoria elettorale con un ultimo discorso.

"Oggi il popolo greco ha fatto la Storia, la Speranza ha fatto la storia. [...] Oggi festeggiamo ma da domani cominciamo un compito molto difficile. Chiudere con il circolo vizioso dell'austerità, annullare il memorandum dell'austerità."

È passato più di un mese: il riverbero confonde le parole, i colori di quelle immagini perdono contrasto mentre l'Europa ha già riufiutato i negoziati, imposto nuove riforme e varato nuovi aiuti al governo greco.
La Grecia non può vincere, titolano i giornali, e la calca in cui ci siamo fatti spazio in quella notte di festa si dirada, i volti si allontanano, i sorrisi sbiadiscono.


Me ne rimane uno.
Un filo di rosso sulle labbra, sciarpa rossa al collo, eskimo, capelli grigi tagliati corti e portati con dignità.
Occhi che cercano di trattenere.




"Ho sessant'anni, ne avevo diciotto nel '73 quando siamo scesi in questa stessa piazza per protestare contro i colonnelli. Abbiamo vinto quella volta ed ho pianto come ora."
In questa stessa piazza:
"Finalmente ho un governo di sinistra. Lo sappiamo che c'è ancora tanto da fare, ma abbiamo fatto un primo passo. Stasera festeggiamo."
Intorno a noi la folla intona una canzone in greco.
Le chiediamo che canzone è.
"Significa: nulla va perduto, vuol dire che ci sarà un lieto fine."
Tipota den paei xameno.
È una canzone di lotta, malinconica, pubblicata nel '79 da Manos Loizos, un compositore militante greco.
Parla di cinquant'anni di sofferenze, di amore, di nuove speranze, di battaglie raccolte dai predecessori e portate avanti.
Di vita.

Perchè è facile lottare quando hai una prospettiva e puoi sperare in un risultato.

La storia, della grecia o la nostra, è stata fatta anche da chi all'inizio del cammino non era in quelle condizioni, ed ha saputo continuare.

Nulla va perduto.





stasera alle 20:45 su Rai3 va in onda "E l'Italia?" la nuova puntata di Presa Diretta a cui ho collaborato.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-29def5b4-a648-46f5-a6f4-b4d7ac6194d2.html

Parla di austerity, di grecia, di Italia.
Di una lotta in corso.

sabato 24 gennaio 2015

Un richiamo


L'aria è più calda di come la ricordavo, quando il flauto la taglia, ed io non riesco a continuare.
Devo fermarmi.

Non posso rievocare la prima volta che ho ascoltato la canzone.
È sepolta sotto anni di manifestazioni, cene sociali, feste della liberazione, semplici serate al bar.
Fatto sta che da alcuni anni non posso più cantare quella canzone per intero.
Ci provo, a volte, quando le prime note tornano a trovarmi nel mezzo di una giornata storta, perso nel traffico o solo a casa.
Ho provato a cantarla, piano, a me stesso. Ma non riesco mai.
Devo fermarmi.
Qui ad Atene un collega, esperto di economia, dice che la Grecia non può farcela.
Non ci sono le condizioni.
Anche se vincerà Syriza non hanno gli strumenti per rimettersi in piedi, non c'è nessun presupposto economico.
Possono solo sperare che le cose smettano di peggiorare.
La politica in questo, dice, è influente solo fino ad un certo punto, perchè se gli investitori non investono dall'estero la tua ripresa è impossibile.

Il tassista che mi ha portato a piazza Omonia ha detto che a lui di Syriza non interessa, lui vorrebbe votare qualcun altro.
Ma qualcosa deve cambiare, e può cambiare solo così.
Nelle immagini del comizio pre elettorale Tsipras allarga le braccia verso la folla con tono e volto sereni, alza la voce di tanto in tanto.
Ha imparato bene la lezione, ma non è solo quello.
Nel controcampo ci sono ragazzi giovani, facce sorridenti, accanto a uomini e donne di tutte le età, famiglie, vecchi che mi ricordano un altro tempo.
Vecchi che mi ricordano la canzone.
Sorridono tutti.
Sono gli stessi ragazzi che ho visto sul corso principale fare shopping e fermarsi ai banchi di carità  per mangiare un pasto gratis.
Le stesse famiglie, gli stessi padri che ho visto prendere i buoni pasto per i figli.
Sono gli stessi vecchi che mi hanno detto di non avere più la corrente in casa, perchè non possono pagarla, e di viaggiare sempre a piedi perchè non possono permettersi l'autobus.
Dopo anni di troika non hanno più lavoro, stato sociale, stabilità, futuro.
Hanno solo qualche parola lanciata da un palco.
Tutto il mondo pensa non possano farcela, eppure tutto il mondo è qui con gli occhi puntati.
Loro sorridono.
Uno di loro, fermo ad aspettare l'autobus, oggi ha sorriso allo stesso modo mentre la telecamera filmava un manifesto elettorale.
"Alexis is a good boy" ha detto.
A good boy.

L'aria è più calda di come la ricordavo, quando il flauto la taglia alla fine del comizio ed io non posso continuare a filmare.
Devo fermarmi.
Ho solo una foto, come al solito fatta male.


Sotiris, il ragazzo greco che ho a fianco, dice che la canzone non è suonata a caso in quel preciso momento.
È un richiamo.
Dopo gli spagnoli, dice, la grecia sa chi vuole accanto, nel cambiamento.
ξαδέρφια μας.
I nostri cugini, ci chiama così.

Non ho nulla per dire come andrà, solo l'effetto che mi fa quel flauto ed il fatto che devo fermarmi,
ma la canzone continua e tutta questa gente la segue con una gioia che non ho più visto da anni, nel mio paese.




sabato 17 gennaio 2015

La battaglia del Lavoro


La prima puntata che ho realizzato per intero assieme a Giulia Bosetti della nuova stagione :

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-df932a50-1f02-428b-8019-8380ea6a555c.html#p=0

Va in onda domani sera, 21:45 Rai tre
una piccola anticipazione:

Post by PresaDiretta.

Gli sono legato per molti motivi ed è un racconto molto intenso di come sta cambiando il lavoro nel nostro paese.

Forse, alla fine, di come cambia il paese tutto.

giovedì 1 gennaio 2015

La foto è fatta male


La foto è fatta male.
Perché mi girano i coglioni.

Saranno le sette, le otto, cosa ne so: la signorina ha avuto premura  di ricordarcelo comunque dall’altoparlante del supermercato che sta per chiudere e ho fatto il bravo e mi sono affrettato assieme agli altri fino all’uscita sul piazzale, che ormai è quasi vuoto.
Continuiamo ad affrettarci tutti, anche ora che la faccenda non è più di competenza della signorina e del suo altoparlante, i bimbi ridono e girano intorno agli adulti che sbuffano e  spingono  carrelli enormi,  senza perdere la fretta, perché è il 31 dicembre e rischiamo di fare tardi per la festa.
Borse da spesa mastodontiche seppelliscono i bagagliai delle auto.

Le mie, rachitiche,  dondolano controvoglia ai lati dalle tasche del cappotto dove ho ficcato le mani per il freddo.
Non serve che metta il freddo, lo sentite da voi.
No, serve che metta il freddo. Magari non lo sentite così.

Quasi vuoto, il piazzale, e anche io sono al minimo storico.
Sto cercando un posto dove portarmi. Me e le mie buste della spesa.
Dentro, oltre a qualche liquido in bottiglia, ci sono tre o quattro brutte notizie fresche, raccolte nelle ultime trentasei ore. Non le più brutte dell’anno ma facciamo quasi e facciamo che così, tutte insieme per il 31 dicembre…
Sto cercando un posto accogliente, dove portare me, qualche bottiglia e tre o quattro brutte notizie senza essere troppo fuori contesto.
Se possibile che ospiti me e bottiglie per un breve periodo, e si tenga le notizie molto più a lungo, ma da qui non mi vengono in mente posti del genere.
Vorrei essere in mezzo al deserto ora, sono in mezzo al deserto ma sopra c’è il piazzale delle auto di un supermercato e intorno una città e per questo non faccio quello che farei in mezzo al deserto: per questo mi affretto per andarmene.

Ci sono anche quasi riuscito.

“Signore! Signore mi scusi…”
Vecchietta, da dentro una cinquecento bianca con la portiera aperta.
Pericolo.

“…Che me la dà una mano?”.
No, signora, voglio andare a casa e farmi una doccia. Non so dove andare ma devo andarci subito, non ho tempo, capisce? Non vorrei presentare nuove amiche a queste brutte notizie che vede qui, ma a guardare un attimo lei e la sua cinquecento ferme in mezzo al piazzale scommetterei che invece stiamo per mettere su un bel ricevimento.

“Certo signora, mi dica.”
“Non mi parte più, non so cosa fare, è la seconda volta in dù giorni…”
Ciao ragazze, anche voi qui? Come va tutto a posto? Siete in formissima! Si passa insieme questo capodanno?
“…mio figlio me l’ha detto che devo stare attenta, ma io non so che fare, non parte! Può provare lei?”

Si è persa in un sedile davanti di una cinquecento, mi guarda e sulle ultime le trema la voce.
Da qualche parte mi spunta fuori un sorriso.

“scenda signora, mi faccia provare.”

Fuori dalla macchina la signora sembra ancora più piccola: è bassa e tozza, i capelli tenuti su dalla lacca. Succede ad un sacco di vecchiette, anche delle mie parti, e quando succede io non posso evitare di volergli bene, purtroppo.

Spingo la frizione e giro la chiave. Il motore tossisce, la scintilla non parte.

“Signora si è ingolfata.”
“Eh, me lo ha detto anche mio figlio! Ha detto che non devo spìgne l’acceleratore, ma come faccio ad andare se non lo spingo?”
“Non lo deve tenere premuto mentre mette in moto, lo deve premere poco quando ha messo in moto.”
“Ecco! Ecco! Me lo dice anche mio figlio, ma io mi sbaglio sempre, è la seconda volta in dù giorni! Sbaglio sempre, faccio un sacco di sbagli, ma come faccio ora?”

Mi guardo intorno.
Le ultime famiglie, le ultime auto le ultime borse della spesa. Poso le mie.

“Facciamo così signora: io adesso le spingo indietro di poco la macchina, lei sterza qua e la mettiamo diritta così posso spingerla ancora sul rettilineo del piazzale e proviamo a metterla in moto così.”
“Grazie, grazie! Secondo lei faccio in tempo ad andare alla messa?”
Non lo so signora, io per non sbagliare qualche preghiera comincerei a dirla in anticipo.

Metto la macchina in posizione, la signora sale sopra e le chiudo la portiera, mi piazzo dietro.
Ho lasciato il finestrino aperto perché senta le mie istruzioni mentre spingo.

“Signora tolga il freno a mano. No, non l’ha tolto.”
“Ora può mettere in seconda? Cerchi di non sterzare, se no è più difficile”

Da dentro anche la signora cerca di spiegarsi: “Ho paura, ho pauraaaa!”

“No signora, non abbia paura non succede niente. Fra poco, quando glielo dico provi a mettere in moto.”

“Non ora signora, prima metta la seconda signora.”
“No, nemmeno ora signora, prima mi lasci fare un po’ di strada, aspetti che glielo dica io.”

Ho un attimo, ricordo mio padre che mi racconta di trentasei anni fa.
Era in viaggio di nozze con la mamma e aveva indosso il vestito buono. La macchina si era fermata in salita, lui era sceso a spingere in camicia e parlava alla mamma, che guidava da poco e faceva un sacco di sbagli.
Penso a papà che sbuffava e si incazzava, a mamma che non riusciva, alla macchina che non partiva.
Sono lì, nei loro vestiti buoni, da qualche parte su al nord. Penso a loro che lo raccontano e a quanto ridono e mi si bagnano i vetri.
Signora accenda i tergicristalli. Lo so che non piove signora.
Una mano, accanto alla mia sul lunotto posteriore.
Compare così.
È un filippino, avrà quarant’anni, spinge accanto a me. Sull’altro lato c’è un ragazzo, barba e occhialetti, ma avrà appena iniziato l’università. Spinge anche lui.

“la signora non ce la fa, serve qualcuno che lo fa per lei, lo fai tu? Prendo io il tuo posto.” Un altro uomo, accento romano e sigaretta in bocca, si rivolge a me.
“Vado io, l’ho fatto un sacco di volte.” Dice occhialetti.
Il ragazzo sale sulla macchina. L’uomo prende il posto del ragazzo, e spinge insieme a noi.

Spingiamo, vetri ancora umidi, la macchina arriva in fondo al piazzale e finalmente si mette in moto.

La signora ci raggiunge felice, ci bacia tutti. Mi tiene le mani tra le sue.
“Grazie, grazie. Lo sapevo, Dio è amore, che vi benedica.”
Non sono troppo d'accordo che lui entri in campo ora, quando è tutto fatto, e si prenda anche i meriti ma non mi sembra il caso di dirlo alla signora.
“Oh! Auguri!” fa il ragazzo al filippino. Si stringono le mani. Ce le stringiamo. Auguri.
“Vada signora” dice l’uomo: “fa tardi per la messa”

La foto è fatta male.
Perché la signora appena rimonta in macchina spegne di nuovo il motore mentre sto fotografando e tutti ci guardiamo negli occhi con orrore.
Ma poi il motore riparte subito e a quel punto abbiamo fretta di farla andare via, non ci stiamo a preoccupare delle foto.
E a pensarci bene, mentre la guardo andare, non sono sicuro se sono stato io a far ripartire lei o se è stata lei, a far ripartire me.

La foto è fatta male.
Ma è tutto quello che ho di questo capodanno e lo condivido con voi.

Vi auguro un anno di giramenti di coglioni, di altoparlanti e piazzali e bimbi che ridono e buste strapiene e buste rachitiche, e freddo e liquidi. E brutte notizie e deserto e cose che non partono.
E figli, e sbagli e cose messe in posizione per poi fare il rettilineo.
E freni a mano e spinte, e paura e ricordi e vestiti buoni e gente che ride a raccontare e vetri bagnati.
E mani, all’improvviso accanto alle vostre e amore, qualunque forma abbia per voi, e a pensarci bene ripartenze inaspettate.

E foto fatte male.

La foto è fatta male perché alla fine mi sono emozionato. E quando mi emoziono faccio un sacco di sbagli.
E ho paura che questa cosa non cambierà mai.






venerdì 3 ottobre 2014

Il reportage




 

www.ilreportage.eu/prodotto/numero-20/

Per segnalare che il numero 20 del Reportage, rivista trimestrale di scrittura, giornalismo e fotografia che potete trovare in molte librerie e qualche edicola, apre in questi giorni con uno speciale scritto da Davide Malesi, Francesca Mannocchi, e me.

Parla di dei nostri giorni a Gaza, questo agosto, durante le ultime manovre dell'attacco da parte  dell'esercito israeliano.

Di questa macchia indelebile sull'anima di tutto l'Occidente.

venerdì 22 agosto 2014

Cosa cerchi, e dove





Beit Lahiya è sul confine.

Uno dei primi quartieri che puoi incontrare entrando nella striscia di Gaza, attraversando la frontiera da nord, sul valico di Heretz.

Questi palazzi dall'alto di una collina dominano tutto il paesaggio, le facciate rivolte sul muro di recinzione della striscia, e rappresentano un problema strategico per Israele, che durante l'ultima operazione ha trattato il problema in questo modo.


 


Mentre i droni le ronzano sopra la testa e la osservano, una bambina palestinese usa adesso il suo vantaggio strategico dall'alto di questi scheletri di cemento per fermarsi un attimo ed osservare i crateri che i bombardamenti hanno lasciato al posto di interi isolati del suo quartiere, là in basso.




All'inizio di lei non sappiamo nulla.
Si porta dietro la custodia di un iphone e qualcosa avvolto in una carta da regalo: ha cercato di recuperare un orologio a muro, ma era troppo grande per lei.
In poco tempo scopriamo che la sua famiglia vive ancora al terzo piano di uno di questi palazzi, abbandonati da tutto il vicinato perchè troppo esposti alle bombe.







La madre ci scherza sopra: più che delle bombe, dice, la sera che sono rimasti soli in tutto il complesso residenziale senza acqua e corrente elettrica lei ha avuto paura dei fantasmi.

E a questo punto lo chiediamo, ma lo sappiamo già.

Sappiamo perchè sono rimasti a vivere qui, nonostante il pericolo sia altissimo e tutti gli altri se ne siano andati.
Sappiamo perchè non hanno lasciato la casa dove i più piccoli sono nati e cresciuti, dove i loro genitori hanno avuto il coraggio di immaginare un futuro.

C'è una scritta sul muro, davanti alla porta di ingresso di casa loro: la bambina vuole leggercela, la recita come una filastrocca.
Noi non capiamo, e qualcuno cerca di tradurci sommariamente:





La vita senza amore non vale la pena di essere vissuta.