lunedì 19 dicembre 2011

Il servizio


di cui parlavo pochi giorni fa è andato in onda.

Io l'ho perso perchè ero occupato, se anche voi lo avete mancato lo trovate qui:

Report FONDO ITALIANO

a presto, buone feste.

venerdì 16 dicembre 2011

REPORT


Due anni fa il Lazio è passato al digitale terrestre, e ho colto l'occasione per liberarmi della televisione.

E' ancora in sala, resta spenta tutto il tempo.

E' una scelta che difendo ancora, fatta eccezione per qualche programma di cui sento la mancanza, anche se spesso li recupero da internet o li guardo a casa di qualcun altro.

L'eccezione delle eccezioni è Report.




Report è, mi fermo e conto fino a dieci prima di scriverlo, il miglior programma che la televisione Italiana offre al giorno d'oggi.
Con tutti i suoi limiti, ovvio: non è un programma d'intrattenimento, e ha i suoi difetti, alcuni ben marcati.
Ma per me resta anche uno dei pochi che abbia ancora un vero valore culturale.

Per questo ho sempre pensato che sarebbe stato bello collaborare al programma.

E per questo, quando a novembre per una serie di coincidenze mi è stata data l'opportunità, mi ci sono buttato con forza.

Claudia di Pasquale, una giornalista molto in gamba ed esordiente nel programma come me, mi ha chiamato come operatore, e per lei ho girato le riprese di due servizi che sono sulla pagina ReporTime del sito del corriere della sera,

il primo, sulla festa dell'ambasciata libica dopo la morte di Gheddafi

il secondo, sull'Iged: un organo del ministero del tesoro che doveva gestire e vendere dei beni immobili.

Sono i primi due: hanno le loro imprecisioni ma sono il mio inizio. Anche se sono confezionati per internet e non sono andati in onda in televisione.

Ma il fatto avere iniziato insieme alla giornalista e condividere un percorso mi stimola molto.

Questa domenica nell'ultima puntata della stagione invernale andrà in onda il nostro primo servizio per la TV.

E' questo.

Claudia secondo me ha fatto un ottimo lavoro, ha avuto un mare di difficoltà ma non si è risparmiata mai.
Io lo considero il primo servizio vero e proprio, ci ho lavorato il doppio degli altri servizi e mi ci sono impegnato di più.

Non l'ho ancora visto e sono un pò in apprensione, ma alla redazione pare sia piaciuto.

A presto.


venerdì 9 dicembre 2011

Dall'altra parte della porta.


E' l'una di notte e sono da questa parte della porta,
dall'altra parte c'è la mia stanza e un pò di sonno.

Di qua, il computer mi chiede ancora 29 minuti di esportazione. Ne serviranno ancora per ricomprimere ed inviare via ftp.
Poi per qualche ora la bestia che è il lavoro di questi giorni se ne starà buona e mi lascerà riposare, per tornare a braccarmi domattina.

Sono qui, da questa parte della porta e ripenso a Marcellino.

Ho conosciuto Marcellino De Baggis anni fa nello studio del Babbo, che nella fattispecie non era il mio vero babbo ma una specie di essere mitologico dalla testa di monty python e dal corpo di Lee Van Cliff: cinturone, colt e risate fragorose.
Si era guadagnato il soprannome di Babbo nel modo più calssico: trattandomi come un figlio, ma questa è un'altra storia.

Anche il fatto che lo studio non andava benissimo è un'altra storia, ma per questo il Babbo affittava una parte dello studio a Marcellino e io l'ho conosciuto lì.
Montava fino a notte un suo lavoro, io montavo fino a notte le animazioni di Fucecchi dall'altra parte della porta, nella stanza accanto.

Una sera gli chiesi in prestito il registratore DVCAM per scaricare l'animazione su una cassetta da consegnare, fu il primo di una serie di favori bella lunga.

Iniziai a chiamarlo quando mi chiedevano un altro operatore per girare convention ed incontri, una volta in un centro commerciale dovette girare anche la mia parte mentre lasciavo andare la sbronza della sera prima nel bagno lì vicino.
No, non era una cosa molto professionale, da parte mia, ma ero un poco più che un ragazzo e anche questa è un'altra storia.
Lui un ragazzo non era, aveva già girato alcuni documentari, questo tra gli altri





Eppure, non avendo tanto lavoro all'epoca, era felice di seguirmi in alcune attività improbabili: era felice sempre di scambiare opinioni sul modo di riprendere un evento, era interessato alle animazioni che facevo: chiacchierare con lui era sempre costruttivo e piacevole.
L'ultima volta che l'ho sentito, ad aprile, gli ho parlato delle dirette streaming che facevo e lui si è congratulato, mi ha detto che gli sarebbe piaciuto tanto venirmi ad aiutare ed imparare come facevo.

Non l'ho più chiamato, ed ora che è tardi e sono davanti al computer ripenso a quando dall'altra parte della porta qualcuno condivideva con me quella cosa contro natura che era il lavoro di notte.
Ripenso a quanto sono fortunato, per averlo conosciuto e aver diviso un pò del mio tempo con lui.

Mi hanno detto che era in cucina o al bordo di una piscina, giocava con il figlio e poi si è accasciato.

Ho sentito anche che i medici pensano possa succedere, ad una persona come lui alta più di due metri dopo i quarant'anni.
A me sono venuti mille altri abbinamenti su caratteristiche fisiche, età, predisposizioni; nessuno mi ha fatto stare meglio.

E' successo ad agosto.

A fine novembre, invece, se n'è andato un altro documentarista più conosciuto a cui per molte ragioni mi sono sempre sentito molto affezionato, anche se non ho avuto il piacere come per Marcellino.

Era Vittorio De Seta.
Chi ha una passione per il cinema Italiano, in particolare per quello documentario, lo conosce già.
Magari perchè come me ha potuto studiarlo come un maestro all'università, e ha trovato nei suoi saggi alcuni consigli preziosissimi su come affrontare la passione per questo genere cinematografico.

Per gli altri, c'è youtube, wikipedia, ci sono un sacco di articoli, libri, film.
Io posto questo, anche se non è il lavoro più bello forse nè il più famoso, perchè il titolo mi aiuta a parlare meglio.





E si, una cosa che mi piace dei documentari è che ti aiutano a non dimenticare.

Marcellino e Vittorio stanno laggiù, o lassù, ora. Forse semplicemente là, nel cambio di prospettiva che gli permette, finalmente, di osservarci ancora meglio.

Peccato solo che non possano raccontare ancora: sarebbero, penso, storie bellissime.


mercoledì 23 novembre 2011

Inverno che vieni


Due anni fa più o meno aprivo questo blog con un post sui gabbiani.

Che stanno ancora bene e senti il loro verso passarti sopra anche alle tre di mattina. Chissà cosa cercano, in giro alle tre di mattina, ti chiedi.

Due anni fa proprio come ora stava arrivando l'inverno: si annunciava con meno danni, da queste parti.
Ed alcuni colleghi dei miei amici qui sopra si preparavano a trasferirsi in qualche zona più comoda del pianeta.

E due anni fa non ci pensavo, ma quest'anno sono andato a salutarli, a modo mio.

Il saluto è qui.





da qualche settimana collaboro con una giornalista di report: giro le immagini per i servizi, che poi vengono caricati sulla pagina di ReporTime del Corriere della Sera.
Ne ho già girati un paio, presto li pubblico.


Il documentario sul Palio è in fase di montaggio, e già vorrei cominciarne un'altro.
Le vacanze di natale saranno importanti per dare una svolta ad entrambi i lavori.
E alle solite altre mille piccole cose che mi coinvolgono,

in questo inverno.




giovedì 8 settembre 2011

VENEZIA 2011


Quest'anno c'è una novità.
Seguo la mostra del cinema di Venezia con molta più curiosità degli anni scorsi.

Per due motivi.

Il primo è Il Mundial Obliado ( in italiano Mundial Dimenticato), documentario sul mondiale di calcio giocato nel 1942 in patagonia, che è già stato proiettato il 5 settembre (sono un pò in ritardo, si.. e non ho nemmeno il vestito adatto, mi scuserete..) fuori concorso al padiglione degli autori.
La regia è di Filippo Macelloni e Lorenzo Garzella, due persone che non vorreste mai al banco vicino ( fanno casino loro e la maestra becca voi, copiate il loro compito voi prendete 5 loro 7 e mezzo ),
ma anche due persone a cui devo molto, sono stato apprendista nella loro bottega da quando sono uscito dagli studi e ho imparato un sacco di cose su questo mestiere. Spesso, senza aspettarmelo, me li sono anche trovati in aiuto.
Lorenzo Garzella ha anche detto la cosa più bella che sia mai stata detta su di me.

E no, non è il momento, ma non resisto, devo scriverla.

11:50 di sera, interno scuola elementare

Andre deve risolvere un problema: "Cosa ci vuole, ci metto un attimo."
Lore: "Sei proprio un massese, fai venire voglia di comprarsi un paio di scarpe nuove solo per prenderti a calci in culo"
Andre fa il suo trucco.
Lore: "..."
Lore: "AHAHAHAHAHAHAHA! , ebbravo Vignali!"

La battuta, ovviamente, è la prima.

La smetto, ok.

Per il film ho curato animazioni ed effetti speciali in compositing, è stata come ogni altro lavoro assieme ai due un'esperienza divertente, impossibile, grottesca e funambolica che non voglio ripetere mai,
almeno fino alla prossima volta.

Il Mundial Obliado è un gran bel film: pieno di quella voglia di giocare, divertirsi ed emozionare che ha sempre contraddistinto il lavoro dei due registi.
Cercatelo su internet, aspettate la sua uscita nelle sale o in televisione, compratelo in dvd e preparatevi a ridere, incantarvi, farvi portare via.
Sennò, il cinema cosa c'è a fare.

Qui un paio di articoli sul Mundial Dimenticato

http://www.cinematografo.it/speciali/festival_di_venezia/00019615_Il_Mundial_dimenticato.html

http://www.daringtodo.com/lang/it/2011/08/27/cinema-nel-pallone-a-venezia-la-storia-del-mundial-di-patagonia/




Mentre scrivo, mi arriva un messaggio di mia madre.

dice: "la proiezione del film di Gipi per la stampa è andata bene, breve applauso... domani in sala, bacio"

Una mamma lo sa, quello che conta per un figlio :-)

Il vero motivo per cui quest'anno faccio il tifo.




Ho più difficoltà a parlare di questo, perchè non l'ho visto per intero.

Ma per quello che l'ho visto, mi ha fatto piangere come un bambino. Ridere come un bambino.
Entusiasmare indovinate come.

Ho visto la versione per bambini :-)

Scherzi a parte, ho seguito il film dalla prima stesura della sceneggiatura, fino ai primi giorni di ripresa, poi ancora per un pò di post produzione.

L'ho seguito come si segue il lavoro di un amico. Con la stessa apprensione, lo stesso coinvolgimento, la stessa speranza.
Quando ho potuto vedere i primi rulli di girato, non sono riuscito a trattenere le lacrime.
Nemmeno fosse mio.
Ne ho parlato per lunghe indimenticabili nottate a passeggio, al ristorante, domeniche al parco: ne ho sentito la febbre, discusso ogni dettaglio.
Sono stato privilegiato, si. In cambio di questo privilegio, ho fatto un tifo sfegatato.
Ho vissuto per mesi una vita normale ed accanto un'altra vita a guardare ed imparare come nasce un film vero, come cambia le persone, cosa fa succedere alle vite di chi gli si lega.

Sempre mentre scrivo leggo questo:

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/1-oggi-il-giorno-di-l-ultimo-terrestre-di-gipi-il-miglior-film-italiano-29483.htm

e un pò sto male, perchè non posso essere a Venezia a congratularmi.

L'ultimo terrestre non è solo il miglior film italiano a Venezia, secondo me.

Probabilmente, l'ultimo terrestre è il miglior film che vedrete quest'anno.

Non vi negate questa gioia.

Per ora, non posso scrivere di più, ho troppo lavoro da fare.

Ma ci risentiamo presto.



domenica 21 agosto 2011

la parola con la a



ci precede, me e la ragazza.

Avanza nel campo, deve avere l'età di mio nonno quando è successo. Io ho un ritorno di memorie, perdo il conto degli specchi che rimandano la stessa scena.

Lui spezza un ramo, si spezzano mille rami.

Aspetta che la ragazza passi. Attenta polpettina, ci sono i rovi.

Lui continua a rimuovere rami e spine per la ragazza, che lei possa seguirlo.

Si ferma quasi in fondo alla sua proprietà, indica a valle.

Quella che vedete è la conca d'oro. Cinquant'anni fa era un enorme campo di limoni.
Avreste dovuto vedere la luce che facevano.

I limoni, il loro oro.

Poi la città ed i paesi sono cresciuti, i campi non ci sono più.

Controlliamo insieme che l'acquedotto funzioni e torniamo indietro.

Queste terre, dice, erano dei suoi nonni. Morti i nonni divise tra gli zii. Mi racconta di quello che gli è costato rimetterle insieme.

Parla in dialetto, non conosco i termini ma capisco quasi tutto quello che dice.

Siamo in cantina.
Questa era una cava di tufo - mi fa vedere i segni della cava - ho costruito usando la polvere nera.
Di polvere nera mi hanno parlato Emo, Natale e gli altri cavatori, gli faccio qualche domanda.
E' contento di parlare.

Qui ho messo un arco, per reggere. Qui ho usato il piccone. La gente mi diceva è pericoloso, non riesci, non vale la pena.

La cantina l'hanno usata per anni come ritrovo d'inverno, per le cene di tutta la famiglia.
Col tempo, lo spazio si è riempito di mobili, bici e utensili. Trofei ed altro che non sa nemmeno lui, e non hanno più potuto usarlo come ritrovo.
Ora è stanco, ha deciso di liberare di nuovo la cantina. Vuole vederla ancora piena di gente.

Torniamo fuori. Mi porta a vedere le case che ha costruito ai suoi figli, accanto alla sua.
Cammino con le mani in tasca. Lo faccio sempre, sono a mio agio, mi hanno detto è una specie di gesto di protezione. Mentre lui spiega mi accorgo e tolgo le mani dalle tasche, non voglio che mi ci veda.
Così mi sento scemo con le mani in tasca e scemo con le mani fuori. Una mano me la prende la ragazza, e va molto meglio.

In qualche modo leggero e meraviglioso la ragazza è sempre stata tra di noi.

Lui mi chiama per nome. Allora, di cosa ti occupi.

Video, dico io, uso poche parole per spiegare.

Lui si rivolge alla ragazza. Noi li chiamiamo artisti.

Mi dò un'occhiata intorno.

Te cosa sei, penso io.
Te cosa sei.

Insieme alle donne prepariamo la cena.
Siamo trentacinque persone attorno ad un tavolo.
Tutta la famiglia, altri ospiti, noi.
Parlano il dialetto, qualcuno mi traduce ma l'uomo dice a tutti che li capisco e spiega perchè.

La ragazza è lì con lui. L'uomo la chiama col nome che era della nonna, dice che sono uguali.
Chiedo com'era la nonna della ragazza.
L'uomo dice una donna fortissima e stupenda.
Gli altri sorridono: ancora la ragazza, ancora il nome della nonna.

Continuano a parlare, di come cresce l'uva, di cosa ha fatto il nido sul tetto.
Di cosa ha costruito le case, rimesso insieme i terreni, portato l'acqua, cambiato il tempo, spostato i rovi, cotto la cena.

Sto lì in mezzo e ho capito, ma davanti a loro non riesco nemmeno a pronunciarla.

Quella parola con la a.









domenica 26 giugno 2011

Faites entrer le chien


Perdo tempo.

Ne recupero, col lavoro e con l'impegno in quello che faccio, ma ancora perdo un sacco di tempo in distrazioni.
Mi incanto e resto Tzran.
Tzran è un termine che usa Richard Adams, nella Collina dei Conigli. Un libro molto bello che ho letto quindici anni fa.
Quando i conigli vedono le luci di un Rududù ( qualsiasi cosa abbia un motore e faccia rumore, occasionalmente anche luce nella notte, è un rududù per i conigli.. non so se si scrive così, ma il suono è simile ), dicevo quando vedono le luci di un rududù nella notte i conigli si bloccano per la paura. Dovrebbero muoversi, per non essere investiti, qualcosa li tiene fermi.

A volte succede anche a me.
A volte vedo qualcosa che mi piace, e non ho termine migliore dello tzran, per esprimere come mi ci sento di fronte. Paura compresa.
Ma non solo.
Perchè la maggior parte di questi rududù, oltre ad impaurirmi, a crearmi problemi anche quando non mi investono, a farmi perdere tempo, mi affascinano.

Posto un piccolo esempio, che non è il massimo della pertinenza, ma che mi aiuta a spiegarmi un pò.

Da tempo, come già ho scritto, curo le dirette streaming di un webforum mensile per l'Unità.

Venerdì durante l'ultima diretta, Pulce, il cane mascotte della redazione, è entrato per una visita.

Chi si è trovato a dover gestire una diretta ( e la mia è una diretta abbastanza facile ) sa il carico di stress, tensione e attenzione che ci vuole per non fare errori, e sa che il minimo errore può creare un dramma.

Chi ha gestito una diretta può capire come mi sono sentito appena ho visto quello che posto qui sotto, e può capire perchè ho fatto quello che ho fatto.
Cercare di cambiare inquadratura, escluderlo.
Limitare i danni.
Chi ha gestito una diretta, quindi, penserà che sono impazzito, se ora cerco di fare ammenda.

Questo è un messaggio di servizio per tutti i rududù che stanno ancora arrivando, sotto forma di cani nell'inquadratura, imprevisti metereologici, attori sopra le righe, passanti, imprevisti di ogni tipo, pronti a mettersi in mezzo mentre cerco di riprendere quello che ho davanti.

Siete i benvenuti.

Un modo per aggiustare le cose si trova sempre.
Ed io sono qui solo per guardare voi.

Tra l'altro, qui la gente sta parlando di esperienza, e di allargare la propria vita, piuttosto che allungarla.

Meglio di così..




prima di chiudere, però, vorrei ringraziare tutti i miei amici romani.

Pix, che è semplicemente un grande.
Riccardo, senza cui non avrei mai realizzato la prima diretta, mai smontato il letto, mai fatto ed imparato un sacco di cose.
Luca, che come un vero allenatore prima mi ha messo in condizione ottimale, poi mi ha detto vai e spacca.
Giannantonio, che mi ha chiamato amico.
E Fede, che c'è sempre.

abbiamo poco tempo, è vero.
ma io mi sono fermato volentieri, anche stavolta.


Tant pis pour ceux qui n'aiment ni les chiens ni la boue
faites entrer le chien entièrement sali par la boue
faites entrer le chien
et qu'il se secoue
on peut laver le chien
et l'eau aussi on peut la laver
on ne peut pas laver ceux
ceux qui disent qu'ils aiment les chiens.


tratto da TANT PIS
di Jacques Prévert


lunedì 23 maggio 2011

Girare


Ho girato un sacco, in quest'ultimo periodo.
Ore e ore di nastri magnetici.

Da una settimana sono fermo, e preparo il montaggio, riguardo una versione breve di Lavorare Liberi, organizzo gli altri progetti.

Questo video l'ho girato venerdì sera, alla colonia Torino.

Avevo staccato alle undici ed ero distrutto. Giravo da otto ore, mi sembra. In realtà mi sembra mille, ma dovrebbero essere otto.

Fede mi dice: va a casa e mettiti a letto subito, non accendere nemmeno il computer, vai a letto di filato.

Come quasi ogni buon consiglio che ho ricevuto negli ultimi vent'anni, riesco a imprimerlo così bene in testa che faccio l'esatto opposto.
Continuo il giro, passo a dare un occhio ai ragazzi che a Massa hanno il presidio permanente davanti al duomo, e là mi parlano di una festa a Marina, alla colonia Torino.. sembra una cosa misteriosa ed esclusiva.

Quando arrivo là, anche se sono stato tutto il giorno con la telecamera in mano ed è notte fonda, non riesco a lasciarla spenta.

La festa è troppo, troppo bella.


sabato 30 aprile 2011

In palio


Sto per riprendere le redini del discorso, e pubblicare finalmente un altro pò di roba fatta di recente e non.

Qui c'è la versione integrale del trailer dei micci.

a presto.


domenica 17 aprile 2011

Lontano una vita


Ormai, era un anno e mezzo fa.


scrivevo di Carla, della sua passione per quello che fa, delle difficoltà che piano piano, a modo suo, affronta.

Così, il suo terzo documentario di cui parlavo è a buon punto.

E non mi sbilancio dicendo che è finito, con Carla non si sa mai.

Però a me sembra un piccolo traguardo: nonostante l'età, il poco tempo, lo sforzo organizzativo cui si è dovuta sottoporre,
e soprattutto
nonostante un insegnante totalmente inadeguato che lei stessa ha dovuto riempire di thè, correggere a scappellotti, gratificare ogni tanto di una stretta di mano,
(e di soldi, direbbe lei: ha ragione, anche di qualche soldo, ahimè...)
...nonostante questi e altri fastidi...
Carla ha raccontato la sua storia.
Importante, lo ha fatto alla sua maniera.
Non alla mia, che l'ho vessata di critiche, nè a quella di nessun altro.
Dite quello che volete, ma secondo me questo è un bellissimo trofeo.

Il film si chiama Lontano una vita,
le ho dato una mano a montare il trailer che linko qui.
Le auguro di continuare a guardare quello che ha intorno come fa ancora oggi.









giovedì 7 aprile 2011

Di corsa


Non scrivo niente,

e per fortuna è perchè ho troppo da fare.

A parte qualche diretta streaming, un video industriale, e un'animazione da preparare col Fucecchi, sto cominciando le riprese del Palio dei Micci con Fede,

qui la seconda parte del trailer, fra un pò il trailer tutto intero.


lunedì 14 marzo 2011

Di una fuga impossibile


Sono fortunato.

Perchè in qualche modo, ho sempre potuto pensare che il posto di alcune immagini fosse solo nei film, nei cinegiornali, nei programmi televisivi che parlano di storia.

Comunque, tu sei seduto comodo e le immagini vanno.




E' così, mi rendo conto, solo perchè sono veramente fortunato.

Anche quando è successo a casa mia, a Massa, ormai più di vent'anni fa, io ero per un caso in vacanza.
E ci svegliamo la mattina con questo:




L'incubo che i miei amici, parenti, le persone che ho più vicine hanno subito, io l'ho scampato perchè sono fortunato.
Ho scampato il momento. Dalle conseguenze, però, la fuga mi rendo conto è impossibile.

L'ho capito guardando questo



L'ultima volta che ho guardato un'immagine simile a fukushima, era chernobyl.
Non molto tempo fa, dicembre.
Ero ancora seduto comodo, ma in uno studio di produzione.
Stavo finalizzando un altro programma, probabilmente sponsorizzato dal governo, un dibattito sulla possibilità del nucleare in Italia.
Dalle parti di testo che mi hanno fatto tagliare, dalle informazioni che hanno coperto, censurato e modificato ho capito di quante bugie ci stanno coprendo, quando dicono di farci risparmiare in bolletta.

Non lo so se il nucleare è una scelta obbligata. Se può fare quello che sta facendo a Fukushima, non credo lo sia.

Mi chiedo solo perchè parte delle nazioni europee ha sospeso la costruzione di nuove centrali, e perchè il governo ha tolto la trasparenza dal decreto sulla costruzione delle nostre nuove centrali.


e ora che so che non puoi sottrarti alle conseguenze di una tragedia del genere, penso a chi ha il coraggio di presentarcelo come un investimento a lungo termine.

mercoledì 9 marzo 2011

Marisol e il coraggio

Stamani arrivo in ufficio e controllo il giornale:

trovo questo


ho subito pensato alla proiezione di 'El sicario Room 164', un documentario di Gianfranco Rosi a cui ho assistito mesi fa al Nuovo Sacher.

Ho pensato a quello che raccontava l'assassino su come i narcos abbiano organizzato una macchina infallibile, radicata appieno nel tessuto sociale e culturale del Messico intero, e non solo.
Ho pensato a come, ad un certo punto del documentario, l'assassino stesso, centinaia di esecuzioni, cambia voce e sembra cedere mentre parla di quello che ha fatto e visto fare alle donne.
Lo stesso Gianfranco Rosi, in sala, ci raccontava di come quel cambio di tono abbia impressionato anche lui, durante l'intervista.

Ho pensato a questa ragazza di ventotto anni, comandante della polizia di uno dei paesi più violenti del messico.
Scomparsa il 2 di marzo.

Mi viene una preghiera.

Il documentario è impressionante, inquadratura fissa, sicuramente non diverte.
Racconta le torture peggiori a cui si sottopongono altre persone, come noi.
Racconta come accanto a noi si possa costruire un'altra realtà, perfettamente funzionante e coordinata con la nostra, che dalla nostra può sottrarci in ogni momento e scaraventarci nell'incubo peggiore; in qualcosa che un cittadino come me non vuole nemmeno immaginare.

Guardate il documentario e pensate a Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi, alla Diaz.
Provate a chiedervi se questi casi isolati fossero solo raggi di una ruota che continua a costruirsi e procedere in quella direzione.
Pensate di ritrovarvici sotto.

Se avete paura, pensate a Marisol.

E se anche a voi viene una preghiera, non illudetevi sia solo per lei.


domenica 20 febbraio 2011

Esche Vive


Le sto parlando di questo post, di cosa vorrei scrivere: del libro che ho letto, e del mio problema fisico.

"Che problema?" fa lei.
"Un problema allo stomaco."
"Stomaco?"
"Si, troppo aderente."

Non capisce.

"Ho le pareti interne dello stomaco molto aderenti, è un difetto come chi prende un pò di vento e ha subito il mal di gola, come chi mangia qualcosa e ingrassa subito, o chi prende a starnutire.."

"A te cosa succede?"

Sorrido, e gioco la carta.
Succede che se provo un'emozione mi ci si attacca subito, allo stomaco. Lo stesso per le parole.
Mi capita a volte che sono fuori con altra gente per una festa, che vedo i miei amici per una serata, e non spiaccico parola. Continuo a girare o fissare lo sguardo a caso, sorrido un pò, sento le parole ad una ad una attaccate da dentro, e so che non usciranno. Mi rassegno.

Lei appoggia un sorriso: "Ottimo per la gastrite..."

Ci sto: detta così sembra un pò brutta.
No, non è.
"Il lato positivo è che quelle emozioni, quelle parole..."
ci penso un pò. "In qualche modo sembra che le covi."

"E il libro che c'entra?"
"C'entra perchè quando incontro uno con il mio stesso problema lo riconosco subito."

Comincia a capire e ride.

"Come fai?"
"Non lo so, in realtà è una cosa che secondo me un pò succede a tutti, il fatto è che quando poi ti ritrovi a doverle tirare fuori, certe emozioni, certe parole, se sono attaccate troppo va a finire che un pò patisci.
Secondo me lo riconosco da quello. Riconosco il patimento."

"Io? ce l'ho il tuo problema?" rido anche io "Un pochino, come tutti, ma in genere è diverso.."
"Perchè?"
"Perchè in genere la gente non lo fa di lavoro.."
"Tu lo fai di lavoro?"
"Un pò si.."
"E perchè?"
Ci penso su..
"sai, non lo so. A questo punto però credo perchè è la cosa che ho fatto per più tempo.."

ride più forte "Che cosa, patire?"

Anche io rido più forte "Si... si! Patire!"

In quel momento ho capito cosa volevo dire di Esche Vive, il libro di Fabio Genovesi che è appena stato pubblicato da Mondadori.

Ho capito cosa penso del suo lavoro.

Non l'ho detto, lì per lì. Mi si è attaccato allo stomaco ed esce a pezzi, ora.

Insieme a tutti questi anni passati a parlare dei posti da cui vengo, scriverci racconti, fumetti, girarci video e documentari.
Finisce che con quei posti ti ci sei tappezzato lo stomaco come la camera da letto di un sedicenne.
E quando scegli, per campare, di frugarci dentro di tanto in tanto, ti ritrovi a chiederti se quello che peschi è vero, se puoi farlo.

Esche vive parla di tre ragazzi di provincia, di tre età diverse, che cercano di tirare avanti nel posto dove sono nati. Quindi, di forza, finisce per parlare di cosa hanno, certi posti, che ti tengono attaccato.

- Tutta la piana è tagliata da questi fossi collegati tra di loro, praticamente sono la stessa acqua che gira in vari canali dritti e stretti, coperti di limo e bordati di cannelle in mezzo ai campisenza verdura. E infatti c'è chi li chiama "i fossi" e chi "il fosso", perchè se prendi ogni pezzetto come una cosa a sè allora sono tanti, ma a vederli dall'alto sono un reticolo scuro come una gabbia nera addosso al paese. -

Parla anche di pesca, di bicicletta, di musica metal.
Delle prime due so poco, anche con la terza sono messo malino.
Ma in realtà c'è in mezzo un'altra minestra, di cui secondo me so qualcosa.
So il perchè uno che vive la sua vita dalle nostre parti finisce per scegliere una di queste, o un' altra passione, come la tiene per se, come ci lega ogni giorno che ha da passare, per tenerli meglio tutti insieme.

Mai guardata una corsa in bici.
Si, vergogna.
Mai anche pescato. Ancora vergogna.

Ma ho guardato della gente pescare,
Mi è sembrato che non fosse mica tanto importante cosa veniva su.
Mi è sembrato che l'importante fosse stare lì, col resto se ne sta in fondo, e tirarlo fuori un pezzo alla volta.

E ho guardato anche la gente ai bordi delle strade, alla televisione, sulle macchine prima e dopo la corsa.
Anche lì, mi è sembrato che vincere fosse solo una parte. Mi è sembrato che uno che corre a te che guardi basta ti faccia sentire la corsa, dentro la pancia.

Per me, qualcosa di questa corsa ve l'ho tirato fuori. Qualcosa resta dove deve stare, ancora per un pò.
Per uno che ha il mio problema è già tanto.

Tanto, ancora, è vedere qualcun altro che sul tuo problema riesce a realizzarci un presente.
O a pensarci un futuro.


- E mi sa che la vita è proprio questa cosa qua, un fiume di roba che ti arriva addosso tutta insieme, un pò la prendi e nemmeno ti accorgi che è passata, e magari era proprio quella che faceva al caso tuo. Ma non lo puoi sapere e nemmeno starci troppo a pensare, perchè stai ancora in mezzo al fiume e la roba arriva e passa e va.
Oppure la vita non è un fiume, magari la vita è un fosso, e allora il discorso è parecchio diverso. Perchè un fiume scorre e alla fine arriva al mare, invece un fosso non va da nessuna parte. Resta dritto così senza una meta e al massimo può sperare di incrociare altri fossi e confondersi con loro per un pò. E se c'è un senso in tutta quest'acqua che si sposta, io non lo so. So solo che ci sto volentieri, soprattutto se posso buttarci un'esca e pescare. -

Fabio Genovesi






sabato 5 febbraio 2011

Lettera da un luogo che non so


Le porte vedendomi dovrebbero aprirsi.

Ma c'è un cartello sopra, dice che non funzionano e bisogna farlo a mano.

Entro, il barista ci scherza subito.

"Sono il modello nuovo.." strizza l'occhio.

Gli chiedo un cappuccio, scelgo un bombolone, penso basti.
Altri due si calmano la fame chimica con un hamurger.
La radio dentro è alta, spara discoteca commerciale, uno dei due ragazzi zompetta a ritmo.

Mi mette il cappuccio davanti e guarda fuori:
- Ce la fai ad andare in giro col motorino? Come fai, mortacci, col freddo che fa! -

Come faccio - mi tengo tra me - ..ci salto sopra.

A lui gli sorrido. - anche qui dentro non si scherza. -
Butta il pollice alle spalle. C'è il fiume.
Si, me lo dovevo aspettare.

Escono i primi ragazzi, ne entrano altri due.
Poi un'altra ragazza.
Non vede il cartello, le apro io.
Il barista, ancora, sono del modello nuovo. La ragazza ride, balla anche lei. "aò ma nùn finisce più!"
Ce l'ha con la musica.
Il barista le strizza l'occhio "Me sa che te la porti fino a casa" poi si gira verso di me.
"Ancora tre ore così, poi stacco. Te no, vé? Te attacchi mò."
Mi prende alla sprovvista. Per un attimo sto zitto.
Lui ammicca anche a me. "Zì, da mezzanotte alle otto qui ce passa de tutto, ormai ve conosco!"
Eppure, lui non mi sembra uno che vorrebbe fare un altro lavoro.
Pago, saluto, mi chiudo fuori.
Il lungotevere è a sei corsie, completamente immobile.
Non devo pensare, devo saltarci sopra.

Li vedo passare nel freddo che morde. Quattro uomini, in tuta. Corrono e chiacchierano felici, ritmica perfetta.
Dall'altra parte della strada, lontanissimi.





sabato 8 gennaio 2011

Uno sguardo umano


Andreij Rubilov è un pittore, il più famoso della sua terra.

La sua terra è la Russia di un Medio Evo buio e violento, da cui sembra non si possa fuggire.

Il granduca di mosca vuole una grande opera, da Rubilov.
Una Pietà per la sua chiesa. Che gli abitanti di quella terra, guardandola, ritrovino il loro Dio, e la grandezza del duca.

Per quattordici anni Rubilov non risponde alla richiesta. Viaggia in silenzio, cerca.

Nel paese dove arriva il duca sta costruendo un'altra chiesa, questa chiesa ha bisogno di una campana.
Il duca manda i suoi uomini a chiamare il fonditore, gli uomini del duca trovano una famiglia sterminata dalla peste.
Si è salvato solo un ragazzo.





E' il ragazzo, per primo, a chiamare.
In quel momento, ha trovato quello che cerca.

L'ho trovata! Andreijka! L'argilla!

Piove.

La seconda volta, per un attimo, lo sguardo del ragazzo e quello del pittore si incontrano.

Cos'hai da guardare tu... Ti faccio pietà, vero?

Il ragazzo ha paura.

Non ce la faccio. Non ce la faccio.




Boris, il ragazzo, si riposa.
E' solo un attimo, non è la fine delle preoccupazioni. La campana deve essere issata, deve suonare. Se non suonerà, quella sarà la fine.



La campana chiama tutti a sè.
Il ragazzo è salvo. Tutta la compagnia è salva. Il duca avrà la sua chiesa consacrata ed il suono della campana ricorderà agli abitanti del villaggio che Dio è con loro.

Questa non è la fine del racconto.
La fine del film, e del racconto, parla di un'altra cosa.

Parla di quella pietà che il pittore cercava, di come la trova, di quello a cui serve.

Non la metto. Spero riusciate a trovare il film intero, a commuovervi come è successo a me.



Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più.
E d'un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno - uno sguardo umano - ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto.
E tutto diventa improvvisamente più semplice.
-- Andrej Tarkovskij