domenica 19 maggio 2013

Fuori campo



Mi avevano detto che sarebbe stato così.

Avevano detto tornerai a pensarci, per ancora molto tempo. Per un oggetto qualsiasi, un odore, per un rumore.

Se avrai fortuna per una foto.

E' passato un mese, stamani mi è arrivata questa.

Nel mio ricordo quel momento non ha questi colori. Il sole colpiva tutto con più forza, mi lasciava ancora confuso.
Dietro alle nostre spalle, dove continua quel sentiero, trenta metri più in basso c'è uno spiazzo con una porta da calcio dalla rete strappata.
Dallo spiazzo la strada continua verso destra e scende ancora di poco, fino ad arrivare al confine, che è una sbarra di ferro nera con un casottino e due guardie.
Oltre, ritorna la Siria e la strada è la stessa, stessa la polvere che abbiamo sotto i nostri piedi.
Una bimba ci gioca in mezzo, si ferma e si sposta di lato. Rimane a guardare la nostra auto sfrecciare ai cento all'ora sul suo campo di gioco.
All'ombra di una piccola terrazza davanti casa, una famiglia prende il thè. Il capofamiglia parla quieto con due uomini e una donna, qualche ragazzo in piedi. Una parte della casa è crollata, ci fermiamo a chiedere se per il confine andiamo bene.
Ci dicono di tornare indietro e prendere la prima a destra. Alzano la mano e ci salutano nel loro modo.
Sia con voi la pace.
Indietro su buche e curve, pini e tende sui campi spaccati, lasciamo la zona di pericolo verso quel segno a penna sulla cartina che trattiene le bombe, i cannoni, la miseria.

Qualcuno, non ricordo chi, chiede di andare piano. Tutti ci opponiamo alla richiesta.

La benda è solo un pezzo di stoffa bianco, ora. Mi gira e gira ancora in mano.
La nostra scorta, l'uomo che è stato rinchiuso con noi per tre giorni, me la prende.
Il pezzo di stoffa vola sulla strada, fuori dal finestrino, atterra sulla polvere e se ne scappa con lo sfondo.

You are free.

Ci scambiamo pacche sulle spalle.
Indietro ancora incrociamo e superiamo furgoni pieni di mobili che faticano sulle salite, ragazzi in motorino, autostrade sconnesse e deserte.
Prima ancora la strada si ferma, torna il buio della stanza, e le voci di noi quattro che ci facciamo forza.

La Siria, il suo popolo, le sue vicende, la nostra.

Da quel giorno per me resta tutto su quella strada, a metà, non mostrato eppure chiaro.

Perfettamente inquadrato fuori campo.



giovedì 16 maggio 2013

Non siamo più noi


La prima volta è stato nel 2004.

Ero a Roma da pochi mesi, ed avevo appena conosciuto Sergio Spina.

minuto 2 e 30 secondi, questo brindisi all'analogico lo offro io:

 

Vorrei scrivere pagine intere su Sergio Spina e sulla sua figura leggendaria.
Non posso, non fosse altro per onestà: sono stato a cena a casa sua una volta sola.
Ma la ricordo come stessi ancora mangiando: c'era anche Amedeo Ricucci, anche se è un'altra storia.

Durante la cena è Sergio stesso a spiegarmi perchè la cucina italiana è la migliore, nel mondo.
Non per spavalderia: mi dà una spiegazione storica etnologica culturale: siamo, dice, il primo paese dove allevamento e macellazione di tutti i tipi di animali sono stati conosciuti e padroneggiati contemporaneamente, ed allo stesso tempo il primo paese con le condizioni climatiche adatte alla crescita della maggior varietà di vegetali commestibili.
Aggiungi il mare, dice, mentre mi serve il primo piatto di pasta e bottarga che abbia mai visto, e sei a posto.
Ed ero a posto davvero.

In mezzo alla cena Sergio si è alzato ed ha acceso il dvd.

http://grooveshark.com/s/Practising+Practising+Just+Great/39fZvh?src=5

le prime note giocavano col nostro silenzio, si spargevano sui piatti, ci allargavano un sorriso.
a 2 minuti e 38, con l'ingresso dell'orchestra, Sergio portava in avanti il braccio, a pugno chiuso.
Da sotto gli occhiali fissava con occhi felici: "Senti che potenza!"

Io avevo da poco finito l'università, pensavo alla Roma di Pompeo, alla leggenda del suo arrivo alla villa di Lucullo:

 - is enim tam splendide epulabatur ut nemo umquam magnificentiora convivia apparare posset.


 - quello (Lucullo) infatti pranzava così splendidamente che nessuno mai poteva preparare convivi più magnificenti.

Cena perfetta, musica ispirata, conversazione di cultura: Lucullo e Pompeo per me, in quel momento, non erano un'altra storia. Mancava solo che Ricucci e Spina indossassero toghe e calzari.

Non è una bella immagine, lo so.

Forse centra meglio il tutto Ricucci stesso quando dice che andare a cena da Sergio Spina era come andare a cena da John Belushi.

Ma è un'altra storia, appunto.

La mia prima volta, dicevamo.
Avevo appena conosciuto Spina, e lui stesso mi aveva portato alla Road.

In quei giorni Sergio stava completando una puntata della Storia Siamo Noi.

Ostalghia, si chiamava la puntata.



Una puntata che tirava le somme di quello che dopo l'unificazione della Germania era stato un sentimento diffuso nelle generazioni precedenti alla mia: lo nostalgia per la DDR.
Avevo rivissuto il crollo del muro di Berlino ed i momenti seguenti, mentre catturavo il materiale per quella puntata.

La mia prima volta, a La Storia Siamo Noi, era stata da assistente.

Anche la seconda volta, sempre alla Road, qualche giorno più tardi, avevo collaborato a questo:


Ancora, caricando trasmissioni radiofoniche e archivi RAI avevo imparato un sacco di cose sulla nascita dell'informazione indipendente e di un nuovo mezzo di intrattenimento, in Italia: le prime radio libere.
Questo avveniva mentre anche internet si preparava a diventare nuovo tramite di informazione ed intrattenimento indipendente, per me, e avevo tracciato le analogie tra la mia esperienza e quelle dei protagnoisti della puntata.
L'autore della trasmissione era Amedeo Ricucci: è così che l'ho conosciuto; la cena da Sergio Spina, anche se la racconto prima, è avvenuta dopo.

Per inciso: dalla Road Television, bene o male, non mi sono più allontanato.
E' ancora il posto a Roma dove assisto alla realizzazione dei migliori prodotti televisivi, con le migliori maestranze.

A parte la Road, ci sono state moltissime altre volte.

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/beijing-lhasa/828/default.aspx

Questa da montatore.
Era il 2007, la Cina stava sviluppando una politica economica che non riguardava più il cambiamento del nostro futuro: la bancarotta di Lehman Brothers ci sarebbe stata un anno dopo, ma io avevo già potuto sentire tutto nell'aria mentre lavoravo a quella puntata a Firenze, in un altro studio che mi ha sempre impressionato per competenze e professionalità:

http://visualaffaire.com/Site/Visual_Affaire.html

Molte altre volte ho collaborato da esterno al programma, trattando molte altre storie:  dal cinema indipendente indiano a Piazza Fontana.

L'ultima in ordine di tempo è anche la più famosa purtroppo.

http://www.amedeoricucci.it/silenzio-si-muore/


Per me, è stato solo un altro passo di crescita umana e professionale.

La notizia che ho letto stamani

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/spettacolo/2013/05/16/RAI-GUBITOSI-STORIA-CHIUDE-LASCIA-MINOLI_8715327.html

mi ha posto un dubbio sul futuro del programma.

Considerato che il programma, poi, ha seguito la mia crescita come un compagno, da quando ho cominciato questo lavoro, il dubbio si è esteso anche a me.

Credo siano in molti, a pensarla come me, ognuno con la sua storia personale.

Un sacco di storie.
Che no, ora che mi viene in mente non sono altre storie.
Sono, e fanno parte, di una unica grande Storia.

Che sarebbe un enorme danno, se smettessimo di essere noi.

sabato 4 maggio 2013

Il dolore dell'uomo


Di corsa, perchè sto partecipando a questo

https://twitter.com/FestGiornalismo/status/330367239863816192/photo/1

ieri ricorreva la giornata mondiale della libertà di informazione,
ho incontrato dopo qualche giorno Susan, Elio ed Amedeo.
abbiamo parlato della nostra esperienza all'inaugurazione del festival del giornalismo d'inchiesta di Marsala.

Ho parlato di quanto è stato importante, per me, leggere l'intervista a Domenico Quirico uscita su La Stampa ieri mattina.

Ve la allego qui, ha un sacco di temi a me cari. E dice tutto quello che si può dire sull'importanza di condividere un'esperienza forte come quella della guerra, per poterla raccontare.


Mio padre mi ha chiamato ieri: mi ha chiesto come fare per esprimere la nostra vicinanza, di tutta la famiglia Vignali, a tutta la famiglia Quirico.
Non sono bravo, in queste cose. Per ora lo faccio qui, presto scriveremo insieme al giornale.
Spero di conoscere Domenico Quirico di persona, un giorno.

Lo spero davvero tanto.

Intanto, leggete questo, vi prego.

http://www.lastampa.it/2013/05/03/esteri/quirico-il-dolore-dell-uomo-va-condiviso-per-raccontarlo-Y01p7HwoLYIqhXe4HVXTwO/pagina.html