La sala è grande.
Qualcuno sta già facendo i conti: altro che appartamento..
Matteo sorride: son due, appartamenti.
sposta lo sguardo verso il centro della sala, con il dito la taglia in due per largo.
Chi è seduto, chi non riesce a stare in piedi e riempie lo spazio camminando.
Molti di noi hanno il naso puntato in alto.
Qualcuno risponde: ..si, bona! L'hai visto il soffitto?
Matteo ride: Mosca, se smezzi anche in alto ce ne viene quattro, allora.
Si ride. Siamo nervosi tutti.
Daniele è in un angolo con Marco, parlano sottovoce: Il dvd l'avrà visto? si, si, lui l'ha visto, me l'hanno detto.
La cosa che mi rende più nervoso, di questa situazione, è il fatto che ci lascino qui chiusi. Ogni tanto si affaccia uno di loro.
Più per controllare che sia tutto a posto. Gli frega mica niente di come si sta.
Ma è anche vero che a noi ci va bene. Bisogna capire che in queste circostanze c'è un protocollo.
In queste circostanze.
Si chiama Sala dello Zodiaco, c'è scritto in questo leggìo davanti a me, e io i Segni non li vedo mica: alle pareti ci sono quadri giganti; scene di caccia semiesotica che sembrano copiate dal rinascimento: brutti leoni che staccano la testa a gazzelle fatte male, alberi e vegetazione sfarzose, il sangue quello reso bene.
e noi, in mezzo, abito scuro come nell’invito.
Che continuiamo a scattare foto. Ce ne saremo fatte una ventina, ormai, tutti insieme e a gruppi.
D'altronde, pensavo, prima che ci ribeccate con questi vestiti addosso..
Tutti tranne Matteo, che vestito normale fa un effetto strano: come se qualcuno avesse preso uno di questi quadri qui e ci avesse appiccicato una figurina.
Non so se essere dispiaciuto o contento, per lui, ma la verità è che, come gli altri, sono distratto.
Continuiamo a dirci che è una bella occasione; Daniele dice siamo stati bravi, siamo d'accordo che è un peccato per Fede, che ha la partita.
Come alla prima proiezione, quindi. Manca Fede e manca Isaia.
Marco, suo figlio, me lo ha anche appena detto. Ti immagini se c'era me pà..
E io non lo so, giuro.
Me lo ricordo che si emozionava, Isaia, e secondo me non sarebbe stato nella pelle.
Come non ci sto io.
Sto pensando se ci sarà il fotografo, che magari ti fai una foto e un domani te la attacchi al muro, che ne so, dovessi avere uno studio..
"E sicchè vive a Roma.." dietro di me.
Mi giro e Alberto è lì che mi guarda. Alberto è stato socio fondatore, con Isaia.
Ora gli occhi gli ballano tra me e la finestra.
“Eh, mi sa di si…” la butto lì. Senza capire niente.
Lui rimane immobile, mi guarda un po’ storto. Sto facendo la figura del malato di Alzhaimer davanti a un vecchio di quasi novant’anni, che per giunta mi da del lei perché sono il regista..
“si, si, mi scusi Alberto. Si, vivo qui…”
Cerco di spostarmi verso la finestra: vorrei continuare il mio sogno di gloria, pensare all’attimo della stretta di mano: mi immagino uno sfondo chiaro..
Intanto però siamo un vecchietto che accompagna un disturbato mentale alla finestra.
Alberto parla ancora: quello laggiù è San Pietro?
Non riesco a mettere a fuoco la stretta di mano, gli rispondo da un chilometro di distanza.
No, San Pietro è più in là.
“E cos’è, allora, quello?”
“Non lo so, forse Santa Maria del Popolo.” Eh, mò ivvén..
“E quelle costruzioni sulla collina?”
Come quando stai sognando e continuano a scuoterti.
“deve essere.. come si chiama..” ci metto cinque minuti per farmi venire “..l’osservatorio!”
Alberto tira un sospiro. “Quando sono venuto a Roma a fare il militare quella collina lì era tutta verde, mi mandavano due volte al giorno..”
E’ troppo. Via dalla finestra, mi avvicino ad un tavolo.
“Oh, daniè, questo qui non ce lo volevo vedere, qui, eh!”
Sempre Alberto, ora tiene lo spigolo del tavolo tra pollice e indice.
Gli altri si avvicinano.
“Potta, hai visto? È ricostruito. Cosa ci voleva a farlo vero? ‘Un lo vedino com’è brutto? E’ finto.”
Mi spiega che prendi dello scarto di marmo e lo ricostruisci per la superficie, dentro lo riempi con non capisco bene cosa.
Mi allontano ancora.
Per la prima volta vorrei essere solo.
Ho davanti la porta da cui fra poco entrerà il nostro ospite.
Ci disporranno in fila, prima. Noi zitti e muti.
Ripenso a quello che mi ha detto Fede, al telefono:
“Non lo so, non credo che mi ricapiterà un’occasione del genere, nella vita..”
Poi mia mamma: “non ho parole per dirti quanto ho il cuore gonfio”
La mano di Alberto si appoggia sulla cornice della porta, a fianco a me.
“La senti? Appoggia la mano. Questo è marmo. Io so anche da dove viene. C’è una cava, in Piemonte. E’ lo stesso marmo del duomo di Milano.
Da lì, o dal Portogallo. Ma il Portogallo non può essere.
Lo so, lo faccio da tutta la vita.
Senti com’è freddo.”
Appoggio la mano.
Lui si gira verso Daniele.
“Daniè, io sono fatto così. Non mi riesce di emozionarmi per questa roba. Se ci sono i sacrifici, le battaglie, allora piango. Ma questa roba qui non mi riesce.”
Fra poco entrerà il Presidente della Repubblica, da questa porta.
Arriverà di corsa, mi stringerà la mano senza guardarmi negli occhi, parlerà di fretta e di fretta ascolterà, come chiede il protocollo, in queste circostanze.
Io sembrerò uno degli animali di questi quadri. Un trofeo da caccia. Un regista impagliato.
Lui mi sembrerà più basso di come pensavo, mi sembrerà una brava persona, tenuta chiusa da quei meccanismi che ti possono anche schiacciare come imbamboleranno me, in queste circostanze.
Mi chiederò se vale la pena vivere una vita, in queste circostanze.
Per ora, ringrazio di non essere solo, di essere con Alberto e con gli altri.
Ringrazio il freddo di questo marmo.