domenica 21 agosto 2011

la parola con la a



ci precede, me e la ragazza.

Avanza nel campo, deve avere l'età di mio nonno quando è successo. Io ho un ritorno di memorie, perdo il conto degli specchi che rimandano la stessa scena.

Lui spezza un ramo, si spezzano mille rami.

Aspetta che la ragazza passi. Attenta polpettina, ci sono i rovi.

Lui continua a rimuovere rami e spine per la ragazza, che lei possa seguirlo.

Si ferma quasi in fondo alla sua proprietà, indica a valle.

Quella che vedete è la conca d'oro. Cinquant'anni fa era un enorme campo di limoni.
Avreste dovuto vedere la luce che facevano.

I limoni, il loro oro.

Poi la città ed i paesi sono cresciuti, i campi non ci sono più.

Controlliamo insieme che l'acquedotto funzioni e torniamo indietro.

Queste terre, dice, erano dei suoi nonni. Morti i nonni divise tra gli zii. Mi racconta di quello che gli è costato rimetterle insieme.

Parla in dialetto, non conosco i termini ma capisco quasi tutto quello che dice.

Siamo in cantina.
Questa era una cava di tufo - mi fa vedere i segni della cava - ho costruito usando la polvere nera.
Di polvere nera mi hanno parlato Emo, Natale e gli altri cavatori, gli faccio qualche domanda.
E' contento di parlare.

Qui ho messo un arco, per reggere. Qui ho usato il piccone. La gente mi diceva è pericoloso, non riesci, non vale la pena.

La cantina l'hanno usata per anni come ritrovo d'inverno, per le cene di tutta la famiglia.
Col tempo, lo spazio si è riempito di mobili, bici e utensili. Trofei ed altro che non sa nemmeno lui, e non hanno più potuto usarlo come ritrovo.
Ora è stanco, ha deciso di liberare di nuovo la cantina. Vuole vederla ancora piena di gente.

Torniamo fuori. Mi porta a vedere le case che ha costruito ai suoi figli, accanto alla sua.
Cammino con le mani in tasca. Lo faccio sempre, sono a mio agio, mi hanno detto è una specie di gesto di protezione. Mentre lui spiega mi accorgo e tolgo le mani dalle tasche, non voglio che mi ci veda.
Così mi sento scemo con le mani in tasca e scemo con le mani fuori. Una mano me la prende la ragazza, e va molto meglio.

In qualche modo leggero e meraviglioso la ragazza è sempre stata tra di noi.

Lui mi chiama per nome. Allora, di cosa ti occupi.

Video, dico io, uso poche parole per spiegare.

Lui si rivolge alla ragazza. Noi li chiamiamo artisti.

Mi dò un'occhiata intorno.

Te cosa sei, penso io.
Te cosa sei.

Insieme alle donne prepariamo la cena.
Siamo trentacinque persone attorno ad un tavolo.
Tutta la famiglia, altri ospiti, noi.
Parlano il dialetto, qualcuno mi traduce ma l'uomo dice a tutti che li capisco e spiega perchè.

La ragazza è lì con lui. L'uomo la chiama col nome che era della nonna, dice che sono uguali.
Chiedo com'era la nonna della ragazza.
L'uomo dice una donna fortissima e stupenda.
Gli altri sorridono: ancora la ragazza, ancora il nome della nonna.

Continuano a parlare, di come cresce l'uva, di cosa ha fatto il nido sul tetto.
Di cosa ha costruito le case, rimesso insieme i terreni, portato l'acqua, cambiato il tempo, spostato i rovi, cotto la cena.

Sto lì in mezzo e ho capito, ma davanti a loro non riesco nemmeno a pronunciarla.

Quella parola con la a.