Buste della spesa in mano, si affianca e ha la faccia di chi lo ha fatto mille volte.
L'omino arancione del semaforo ha appena lasciato il posto a quello rosso del piano di sopra, davanti a noi, che siamo ancora affiancati.
Io, il semaforo, non lo guardo più. Guardo lui, e so a cosa sta pensando.
Vuole buttarsi, passare.
In questo soffio di tempo in cui è rosso per noi due, affiancati all'incrocio grande della città grande, e rosso per il muro di auto al nostro lato, che fra molto poco allo scattare del verde avanzerà nel rombo, chiudendo il nostro passaggio definitivamente.
E' una cosa di nervi e una cosa pericolosa. Una cosa da abitante della
città grande, e lui fa molta attenzione alle auto; io mi sto chiedendo perchè non è ancora partito.
Forse, so perchè vuole farlo.
Forse perchè ha visto troppi Indiana Jones, o forse gli dà fastidio lasciare a quell'omino rosso il controllo sulle sue gambe. Forse, lo fa solo per il pensiero che può ancora farlo.
Cosa c'è, dopo quel pensiero, mi chiedo.
Forse, più probabile, vuole farlo per abitudine: l'ha fatto mille volte.
Mille volte moltiplicato il tempo in cui è rosso per tutti e uno si muove.
Sottrarre il risultato alla faccia che uno aveva la prima volta. Alle gambe, ai polmoni che aveva.
Fratto, probabilmente, la lunghezza del muro di auto da superare.
Eccolo lì, che cerca la fine del calcolo. Eccolo, che si chiede quando mai ha ricorso al calcolo, prima di ora.
Io sono già passato, intanto. Ho attraversato quel soffio di tempo che è già quasi un ricordo.
Dietro di lui compare una donna. "E sbrigatiiii!!!!" Per non lasciare andare la donna avanti, lui parte.
Mi giro e da in fondo all'incrocio li guardo percorrere il tratto di corsa. La mano di lei tocca quella di lui, che stringe una borsa della spesa impazzita.
In un riflesso cerco le mie. Le mie borse della spesa stanno calme, strette salde tra queste mani che sono già passate.
Alzo di nuovo gli occhi. Incontro i suoi che avanzano, mossi dalla macchina del tempo.
Lavorare Liberi, ( cliccate sul link se non sapete di cosa parlo ), sarà proiettato giovedì 9 Agosto nella rassegna estiva "Aperture Straordinarie, la Rassegna Impossibile" dell'associazione culturale Sancio Pancia, al rifugio antiaereo a Massa.
Qui trovate il programma, che ha proposto serate interessantissime in questa estate, e continuerà a proporne fino a fine agosto: se avete tempo fateci un salto.
Io non ci sarò alla proiezione, ci sarà Federico Stagi, probabilmente qualcuno della Cooperativa, ed un dibattito interessante alla fine della proiezione.
Per chi non avesse ancora potuto assistere al documentario, il rifugio antiaereo di massa mi sembra un posto fantastico per la visione.
Running has always been a good thing in our family,
especially running away from the police.
It’s hard to understand, all I know is that you’ve got to run.
Comincia con queste parole, e l'immagine da dietro del ragazzo che corre al lato della strada, lungo i campi. So da subito che non mi dimenticherò più del film.
Schiaccio lo stop, tiro fuori il VHS. Ha un’etichetta, come
tutti quelli dell’aula audiovisivi.
“GIOVENTU' AMORE E RABBIA, RICHARDSON, 1962”
Sono chiuso nell’aula, fuori dalla finestra novembre ha sporcato il blu del cielo, e la stretta che mi arriva mentre sto qui con la cassetta in mano la conosco bene.
Perderò il conto, delle volte che
tornerà a farmi visita.
Quando arriva la stretta sento le gambe che si
liberano da qualche parte, oltre la finestra.
Questo, sento, ma sono ancora qui con la cassetta in mano e sto per fare una scelta.
Il sapore che mi lascia quella scelta non lo posso raccontare: mi aspetta un
altro tipo di corsa, a questo giro.
Premo play.
Colin guarda i campi innevati fuori dal finestrino della camionetta di polizia. Sta per finire in riformatorio, deve essere poco più grande di me.
Sto guardando una storia di redenzione. Da come agguanta lo stomaco direi che è così.
Le presentazioni dei personaggi sono pura perfezione anglosassone. Ognuno disegna sè stesso, il proprio intento, e la sua parte di scenario del film.
Pochi minuti e tocca a Colin stesso.
Il detenuto a capo dell'ala di alloggi dove viene assegnato il gruppo di Colin spiega a tutti che non intende rinunciare a nessun privilegio a causa di eventuali insubordinazioni dei nuovi arrivati,
- and always remember, that they've got the whip hand
e ricordate, aggiunge, che sono loro ( il direttore e le guardie ) ad avere la frusta da parte del manico.
Colin:
- Do you know what I'd do if I had the whip hand?
I'd get all the coppers, governors,
posh whores, army officers, and members of Parliament
and stick them up against this wall
and let them have it,
because that's what they'd like to do
to blokes like us.
I blokes like us sono ragazzi di periferia, nello slang dei sobborghi.
La storia di Colin non è diversa da quella di tutti gli altri che ha accanto.
Nati senza fortuna, abbruttiti dalla mancanza di prospettive, schiacciati da un paese senza pietà per gli ultimi, hanno tentato di ribellarsi ad un futuro di miseria, ed hanno fallito.
Ma anche in riformatorio, a quei blokes è rimasto qualcosa.
- Well, you'll learn.
sentenzia il caposquadra
- We'll see.
Finisce Colin.
Il resto del film parla di questo.
"Di come un ragazzo che ha perso il padre in un incidente al lavoro scelga il suo posto in una società che sembra poter solo pretendere da quelli come lui."
Due giorni dopo, all'esame di semiologia del cinema, davanti all'assistente del professore, un altro ragazzo poco più grande di me, spiaccico esattamente le ultime tre righe.
Anche seduto davanti a lui vorrei correre, ma per un altro motivo.
Per esempio, perchè mi ha appena chiesto di specificare, e io non so cosa stampargli.
Magari, se mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di qualche altro bloke, una battuta su governatori e fruste viene anche a me.
Ma gli altri intuiscono il culo che mi sta facendo l'assistente e non sembrano incoraggianti.
"parla di denuncia sociale..." la butto lì.
L'assistente non molla: "...ti ricordi qualche scena dove è più esplicita, questa denuncia?"
"Bravo cazzo, così spoilero tutto..." La battuta sarebbe ottima, ma la tengo per me. Il voto all'esame mi preme un pò di più.
Quello che mi è sempre piaciuto degli assistenti del corso di cinema è che sono tutti sveglissimi. Lui infatti ha capito da un pò, ed inizia ad imboccarmi.
"ti ricordi la scena dove il protagonista ed il suo amico sono davanti al televisore nuovo che trasmette il discorso di un politico e loro tolgono l'audio?"
Allora calo la maschera. Gli dico di no. Gli dico che due giorni prima ho visto l'inizio del film, e il giorno prima dell'esame la fine.
Gli dico che il film è stato considerato dalla critica il padre della Nouvelle Vague inglese, fratello di sangue (dico così: di sangue) dei Quattrocento colpi di Truffaut. Gli racconto la scena dell'interrogatorio di Colin e quella di Antoine Doinel, e la scena del finale di Gioventù amore e rabbia, così simile da quella di Truffaut, così diversa da quella di Truffaut.
La scena finale.
Gli racconto di come mi sono innamorato di quella parte di racconto, e di come sto per non essere riuscito a vedere il resto del film, avendo guardato di corsa trenta ore di video tra film e cassette antologiche per riuscire a dare l'esame nei pochi giorni che ho preso di libertà dal lavoro.
Gli dico che secondo me parla di denuncia sociale, si, ma di un'altra cosa, che sento anche di più.
Lui mi chiede cosa, io sento le gambe che si liberano, e vorrei parlargli del sapore di scelte che facciamo a volte ma che non posso raccontare.
Così mi fermo, e lo guardo.
"Ho studiato di corsa" dico, e sorrido.
O resta impressionato o decide che se la beve. Purtroppo è anche vera.
28, dice. Di più non posso darti.
Quello che mi è sempre piaciuto, degli assistenti e degli insegnanti del corso di cinema a Pisa, è che sono blokes like us.
Tengo il 28, lo ringrazio, esco.
Una settimana dopo ho un altro esame, poi una serie impossibile di consegne appena rientro al lavoro.
Qualche mese dopo, ricarico la stessa VHS nella stessa aula.
Al pensiero di tutta la roba che ho guardato in quei pochi giorni, a casa e in aula senza fermarmi quasi mai chiudo gli occhi e sento ancora le gambe correre.
Il film, scoprirò poi, è tratto da un libro, ed il titolo originale è The loneliness of the long distance runner.
Questa volta lo guardo tutto.
E' un premio meraviglioso, che consegno a me stesso.
Parla di questa traccia che Tarkovskij mi ha lasciato addosso, con quel film.
Mi è accaduto spesso.
La prima volta che ho visto quel film ero in Aula Audiovisivi, Dipartimento di Storia delle Arti, Piazza San Matteo in Soarta, a Pisa.
Nel mio ricordo sono cinquanta metri quadri di aula circa, circa quindici postazioni video.
Ogni postazione video è una sedia con un televisore ed un registratore VHS davanti. Ai lati, due pannelli di legno bianchi per isolarti nella visione. Di là da ogni pannello, un'altra postazione ed un'altro come te. Una specie di rito individuale collettivo: come una confessione, o meglio, un battesimo. Sul tavolo di fronte a te, un paio di cuffie.
In fondo alla sala c'era una mensola piena di cassette VHS coi film più importanti dei corsi di Storia del Cinema e Semiologia del Cinema.
Muybridge, Porter, Griffith, Lumière, Lang, Vertov. Su fino a Wells, Truffaut, Fellini, Hitchcock, Ivens, Ferreri.
Solo una minima parte degli autori, come mi torna alla memoria.
Come guardare dall'alto di una collina una mandria di splendidi stalloni al galoppo, giù nella prateria.
Anche se per chi ti guardava, eri solo un nerd qualsiasi che poteva impiegare anche venti minuti a scegliere una pallosissima VHS.
Alla fine sceglievi il tuo insegnante della prossima ora e mezzo, prendevi la VHS, la offrivi in pegno al registratore recitando una qualsiasi preghiera al Dio dell'Analogico o ai suoi santi ( ave, Rybczynski, morituri te salutant.. ), sperando tutto funzionasse. E ti preparavi allo spettacolo.
Quell'aula è stata una scuola a parte, una storia del cinema a parte, ma anche un'adolescenza a parte. Per me e spero per molti altri.
Le cose sono cambiate. Il mondo come lo conoscevamo è andato perduto. Un nuovo Dio è arrivato e ci ha costretti alla conversione.
La leggenda narra di cassette rinchiuse in un archivio. Di quest imposte agli studenti per liberarle ed assistere ancora alle rivelazioni.
Questo è un diario degli insegnamenti che il Dio dell'Analogico ci ha reso in quegli anni, perchè non vadano perduti.
Qui, in seno all'impero del Dio del Digitale, di quando in quando vi condurrò in segreto in quel vecchio tempio per rendere a voi il testamento del nostro Dio perduto.
Sempre che il registratore non si mangi il nastro. O che non vi facciate due palle così.
avevo già parlato del Crowd Founding: in parole povere, un modo per finanziare dal basso i progetti indipendenti.
Gente come voi e me che invece di pagare 5 euro per il biglietto di uno spettacolo o il dvd di un video,
li spende per finanziare un film ( il caso di korin ), un cortometraggio, o un documentario, e riceve in cambio il dvd o la possibilità di vedere il filmato, a produzione finita.
Ho già anche parlato di quanto mi piaccia il nuovo processo, e sia una manna per i produttori di video.
Quello di oggi è un esempio che ho a cuore.
Perchè è un reportage sulla rivoluzione Tunisina, e la Tunisia assieme ad altri paesi del Medio Oriente ha conosciuto in quest'ultimo anno una stagione di rivoluzione vera, che ne ha fatto un paese modello per dinamiche di insurrezione, ma anche propaganda, repressione, e strumentalizzazione della volontà popolare.
Perchè racconta da vicino la vita di un popolo in ginocchio per la crisi e la mancanza di crescita economica, ma attraverso le storie di uomini comuni, alle prese con rabbia, frustrazione, e una disperata necessità di sopravvivenza.
Non sentirò nulla di questo nei telegiornali. L'unica speranza che mi resta di ricevere quelle storie è aiutare gli autori del reportage a raccontarle.
Ci sono altri trailer, tutti i dati e la spiegazione precisa del progetto. Cinque euro non sono nulla, e in compenso si tratta di un gran bel lavoro.
L'ultimo motivo che mi lega al progetto è che ho conosciuto per bene Filippo del Bubba, l'autore del reportage, nei primi anni in cui mi sono spostato a Roma per lavorare da videomaker.
Già allora i suoi video avevano sensibilità e raffinatezza sufficienti da farmi incazzare di invidia come un bue.
Abbiamo buttato serate ambulanti, cene improbabili, anni interi a discutere del senso di quello che facevamo: a scontrarci sui metodi, sull'etica, e sul compenso.
Siamo quasi finiti sul lastrico, abbiamo quasi risalito la china, quasi avuto successo, quasi fatto a schiaffi.
La verità è che ognuno di noi sentiva chiaramente la tempesta che stava arrivando.
E ognuno di noi ci si è buttato in mezzo, coi suoi tempi, a modo suo.
La prima volta che mi sono trovato su un piccolo set, era un suo cortometraggio:
più di dieci anni fa.
Quando ad ottobre mi ha ricontattato per aiutarlo a realizzare il primo lungometraggio, Korin, sono stato felice di offrirgli aiuto.
Korin è un progetto particolare: una sorta di fantasy, ambientato nel dopoguerra. http://www.korinthemovie.com/homeita.html
A Paolo piace definirlo un film atipico, per il panorama Italiano.
Uno degli elementi più atipici, secondo me, resta il fatto che sia quasi riuscito a produrselo da solo.
Al momento manca solo di una piccola quota, per un film, per la quale sta ricorrendo al crowdfounding. Il crowd funding o crowdfunding (dall'inglese crowd, folla e funding, finanziamento) è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizzano il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni. È un processo di finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse.
grazie dell'aiuto, signorina wikipedia.
In pratica, ora il film Korin chiede aiuto alla gente per finanziarsi la parte di soldi mancante.
Qui c'è il link, con le istruzioni su come partecipare, se volete farlo.
Se non lo fate, poi non lamentatevi che il cinema è un circuito chiuso, che in zona a Massa Carrara non ci sono registi bravi, che i film Italiani sono tutti uguali, che la zuppa è fredda.
Scherzi a parte, il crowdfounding, questa cosa di ricorrere alla partecipazione per produrre un'opera, mi sembra un'ottima risorsa, capace di dare ad ognuno di noi il potere di scegliere che tipo di arte produrre, finanziare, e quindi vedere realizzata.
Sembra il titolo perfetto per il post, invece come ho già scritto è la pagina aperta sul corriere da Report: notizia abbastanza diffusa, ormai.
E' uscito un nuovo servizio di Claudia, le riprese sono sempre mie.
A parte essere un gran fotografo, Oliviero Toscani mi fa pensare a quei personaggi da film di celentano.
Simpatico il tuo amico. Scemo, ma simpatico.
Mentre ascoltavo l'intervento che ha letto al convegno che stavamo riprendendo...
No, non era un intervento.
Mentre ascoltavo il comunicato che ha letto ai giovani sono stato preso da crisi mistica.
Parlava dei creativi. Che purtroppo, ultimamente, sono sotto attacco costante da parte dell'altra razza di umani, i subcreativi.
Mi prudono le mani ancora, se ci penso.
Però su una cosa gli credo. Credo davvero che gli sia fregato sempre poco dei soldi che faceva.
Facile, viene da dire: li aveva già.
Si è vero.
Facile anche che gli freghi poco della crisi, e che sia un discorso ipocrita, un discorso da non ascoltare nemmeno.
Ma ancora, davvero, credo che l'unica uscita sia non pensarci, alla crisi. Soprattutto se stai facendo un lavoro che ti piace, un lavoro creativo. E mi mangio le mani mentre lo dico, ma la sento così anche io.
Credo che l'unica uscita sia buttarci anima e corpo in quello che facciamo, senza risparmiarci, e intanto preoccuparci solo di farlo bene.
Diceva, mio nonno, che i soldi non sono un problema. Mio nonno non ne aveva tanti, e io gli voglio dare retta.
Sono arrivato in sala con un sacco di curiosità sulla storia, ma soprattutto sul fatto che per la prima volta assistevo ad un regista per cui nutro grandissimo rispetto alle prese con la nuova tecnica, il 3d. Di più: con un film documentario, girato in 3d.
Ho portato a casa alcune belle impressioni.
Per capire meglio quelle stesse impressioni mi sono documentato un pò, e mi sono imbattuto recentemente in questa intervista.
a questo punto non devo praticamente dire niente di mio perchè il maledetto, qui, ha detto tutto lui.
1) allo stesso modo dell'autore, ho sempre pensato che la danza non facesse per me. Niente di fisico: sono aggraziato come una capra e non è un segreto.
Il problema, guarda un pò, sta nella testa.
Non sono mai riuscito a fruire di uno spettacolo di danza: mi annoia, non ho gli elementi per codificarne il linguaggio, spesso mi sembra esagerato, troppo esibizionista, troppo marcato.
Poi per fortuna Pina Bausch ha aperto gli occhi al regista, e il regista ha stupendamente funzionato da amplificatore per questa realtà: la danza è un grande strumento di espressione.
Non mi sto mettendo una calzamaglia, mentre scrivo. Sto solo ammettendo che non me ne sono mai accorto.
E probabilmente continuerò a considerare un volo dalle scale l'ottima alternativa a due biglietti per lo schiaccianoci: però almeno ora so che il problema è mio.
Di più: la danza è strumento eccezionale per un documentarista, umiliazione doppia per me.
Un ballerino verso la fine del film sintetizza il concetto in maniera semplice ma formidabile: Pina gli ha chiesto un movimento, un gesto che esprimesse il concetto di gioia. Lui lo trova: quel momento del film nasce da solo.
Non voglio farla lunga.
Qualcuno riesce a rappresentare un concetto, un'emozione, in un semplice gesto. Chi può filmare quel gesto ha a disposizione un poteziale enorme.
Compito di un documentarista è trarre dalla realtà, da ciò che accade, un messaggio e una storia attraverso le immagini.
Se quello che sta accadendo è già stato pensato per esprimere qualcosa, in pratica, metà del lavoro è già fatto
:)
2) la terza dimensione.
Spesso, più o meno recentemente, mi sono soffermato a discutere del tema con amici, conoscenti, esperti o meno del settore.
A volte, ho affrontato la discussione anche su altri blog.
Sin dal primo film che ho visto, Avatar, ho sempre pensato che il 3d fosse nato come uno strumento ostico, per il mio modo di intendere il cinema.
Uso ostico perchè si, l'ha usato Wenders, ma lo spiego a modo mio.
La parte più bella di Avatar, che ricordo ancora, è stata il trailer di oceani 3d prima del film.
Quando ho visto quel banco di pesci che creava un vero turbine, oltre e prima dello schermo: quando ho visto la pinna di una balena abbracciare le prime file di posti a sedere.
In quel momento ho aperto gli occhi.
Poi è cominciato avatar, e mi sono fatto un giro sulle giostre. Niente, a confronto.
Però ora capisco cosa mi ha acceso in quel momento, e mi riconosco nelle parole di Wenders.
Il vero valore del 3d sta nel poter dare un piano in più alla presenza dell'attore, sullo schermo. Sia esso una balena, un banco di pesci, una ballerina o un gran canyon.
Questo è il grado di potenziamento del mezzo cinematografico che anche io mi auguro.
Certo, anche il drago di avatar ha una dimensione in più.
Ma il drago è parte di una macchinona da circo fatta per sorprendermi e lasciarmi senza fiato con roba per forza impressionante, scoppiettante.
La balena è qualcosa che guardo, che voglio capire, da cui mi sforzo di cogliere qualcosa di affine.
Meliès / Lumière?
Forse. D'altronde anche questo
era stato pensato per colpire gli spettatori attraverso l'uso della terza dimensione.
Ma anche per farli riflettere sul fatto che ora avevano un mezzo nuovo con cui guardare il mondo.
Io spero sia ancora così.
Forse, però, la mia è anche una riflessione a monte.
Perchè ho paura dell'invasione di un cinema fatto per colpire, allucinare a tutti i costi, anche se non c'è niente da dire.
E mi meraviglio ancora quando il cinema viene usato per farmi scoprire qualcosa su di me, o su quello che mi sta intorno.
e ora,
l'ULTIMO ATTO.
in cui l'autore del blog stravolge la tesi, si burla di se stesso e del lettore, e come nelle intestazioni delle opere teatrali vittoriane finisce tutto a merda ma si rimane amici
Queste le intenzioni: quelle del regista e le mie.
Il documentario, si è capito, mi è piaciuto e mi ha fatto riflettere: a tratti mi è sembrato un pò rattoppato, complice probabilmente la morte inaspettata di Pina.
A tratti è stato veramente magico.
Va visto solo per la metà dei suoi pregi.
Il 3d invece mi ha deluso anche stavolta.
Non nell'uso che ne ha fatto il regista, che mi è sembrato veramente una ricerca brillante.
Ma nell'esito tecnico.
Guardo un'inquadratura complessa:
in primo piano un gioco di danza tra ballerini, in secondo piano una bella scenografia e puntualmente mi perdo uno dei due piani per concentrarmi sull'altro.
Se poi ci sono movimenti troppo frenetici in primo piano, tutto il resto dell'inquadratura io non so proprio cos'è.
Ma perchè non riesco a vedere bene: i movimenti non mi sembrano fluidi, mi distraggono troppo, i piani mi sembrano troppo separati, troppo difficili da accostare le prospettive delle due lenti dell'occhiale: non è ancora una fruizione naturale.
Non lo so perchè.
Forse ho visto una brutta proiezione.
Forse proprio il 3d come tecnica non è ancora ottimale.
Forse serve ancora tempo al mio cervello, che d'altronde è tardo.
O forse sono strabico e basta, speriamo di no: ma guardare un film ed accorgermi che il regista stava usando un trucco di montaggio o c'è un bel paesaggio di sfondo perchè me lo dice qualcun altro è una cosa che mi succede solo con le proiezioni 3d.
E spero non mi succeda in futuro, ora che almeno vorrei farci amicizia.