martedì 12 febbraio 2013

Francesco





E' uscito "Per Francesco Orlando" Testimonianze e ricordi a cura di Davide Ragone, Edizioni ETS.

http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846733917

280 pagine di racconti, aneddoti, ma anche saggi e impressioni sulla vita di Francesco Orlando, professore di Teoria della Letteratura all'Università di Pisa, personalità insostituibilie, ahimè, in termini di creazione e promozione di cultura.
Ma anche, prima di tutto, uomo generoso e sensibile. E, in fondo, mio amico.

Ho conosciuto Francesco a ventuno anni, in occasione del corso sull'utilizzo del soprannaturale in letteratura.
Corso interessantissimo, dal quale poi è nato questo saggio.

Statuti del soprannaturale nella narrativa
, in Franco Moretti (a cura di), Il romanzo, vol. I (La cultura del romanzo), Einaudi, Torino 2001, pp. 195-226

In quell'occasione abbiamo stretto amicizia ed ho iniziato una lunga serie di visite alla sua dimora in lungarno, la maggior parte concentrata nell'ultima estate prima che iniziassi a lavorare sotto contratto, e poi mi trasferissi dalla toscana verso roma.

La nostra amicizia, le mie visite al Professore, mi hanno reso una persona migliore.

Ho imparato un sacco di cose su Freud, sul perchè sentiamo una spinta creativa, sulle meccaniche che si mettono in atto quando succede.
Aiutando il professore a tradurre in inglese per un'università americana il suo libro

Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 1993, nuova ed. 1994

mi sono creato una fitta significativa libreria di esempi narrativi ed immagini vivide, che hanno incementato le fondamenta del mio bagaglio culturale.
Ho ascoltato un sacco di musica classica, occhi agli spartiti. Vi sembra poco, forse.
Ho spaziato nei discorsi pomeridiani su un orizzonte perfettamente nitido di cinque letterature, citate e confrontate in lingua originale.
Ho perso la testa per il Don Quixote di Cervantes.
Ho avuto la fortuna di assistere ad una lettura personale, solo per me, del libro che il professore aveva scritto tempo prima e non voleva pubblicare, e non ha pubblicato se non poco prima di morire.

Sono fortunato, è da un pò che lo dico.

Quando l'anno scorso ho sentito che Francesco era morto sono rimasto malissimo. L'avevo visitato qualche anno prima: mi era sembrato invecchiato ma ancora vispo, era felicissimo di rivedermi ed io di rivedere lui.
Era felice di sapere che riuscivo a vivere del mestiere che mi ero scelto, me ne faceva gran vanto, mi aveva confidato di aver dovuto lottare molto anche lui per potersi scegliere il suo, sperava di rivedermi presto.

Anni dopo, sono contento di aver incontrato e sentito parlare di decine di persone come me, che posso dire senza tema di smentita essere state rese persone migliori da Francesco.
Dal suo amore per la letteratura, dal suo insegnamento che una buona conoscenza della letteratura è davvero uno strumento per accrescere la propria consapevolezza e vivere una vita migliore: più attiva e più ispirata.

Ho scritto decine di persone, ma secondo me sono molti di più.
Ho scritto decine di persone perchè mi riferivo ai più illustri: tutti professori che oggi hanno cattedre universitarie concquistate con passione, sacrificio e grande competenza.

Molti li trovate qui sopra, tra gli autori dei contributi del libro in apertura. Ci sono anche io, è un onore immenso.

Il mio non è che un raccontino, un racconto con cui gli amici più intimi di Francesco mi hanno detto ha continuato ad evocarmi per anni, a tutti i suoi conoscenti, con grande gioia.

Mentre lo scrivevo, mi immaginavo a leggerlo, qui nella mia stanza.
Io a lui.

lo copio qui sotto, per voi.

Ma se potete compratevi il libro, contiene testimonaianze molto più interessanti ed importanti della mia.


FRANCESCO


  Aveva un piccolo libro foderato in verde.

Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.
Il primo sole caldo della stagione cullava gli studenti sdraiati sui parapetti in pietra.
Seduto sulla poltrona, lui non riusciva a contenere l’emozione.
Avevo lasciato la finestra e preso posto accanto a lui.

“Mi fai molto felice, sei il primo ventunenne ad assistere e sono molto curioso di sapere cosa ne pensi.”

Io avevo guardato alla libreria che riempiva le pareti intorno a noi.
Ogni autore disposto con cura per anno di nascita.
Una sorta di giardino segreto della letteratura, un luogo leggendario per tutta la mia facoltà.

“Professore, per me è un grande privilegio.”
“Spero che prima o poi riuscirai a chiamarmi Francesco, per me sarebbe segno di amicizia”

La libreria ci guardava.

“Le giuro che provo, ma è difficile..”

Il leggero tremore alle mani era finito e dopo un breve discorso di preparazione aveva cominciato a leggere con voce attenta, incalzando il racconto e fermandosi di capitolo in capitolo per chiedermi un parere.
Cercavo di porre attenzione ad ogni particolare, ma ancora la cosa più straordinaria mi sembrava guardarlo leggere con passione, e a volte perdevo qualche dettaglio del libro.

Nella storia, due ragazzi passavano l’estate di una città meridionale degli anni  cinquanta sul rumore di fondo di un’attrazione strana, alla quale non sapevano dare forma.
Erano appena saltati su una vespa, si stavano lanciando in una corsa spericolata.

“Ho scritto spericolata, non vorrei avere esagerato: dopo tutto i due dovrebbero vivere un leggero smarrimento e forse andare più cauti..”

Non era una domanda impegnativa, ma io ero ancora in meridione e passando uno dei due ragazzi mi aveva appena strizzato l’occhio.

“Professore, sono ragazzi!”

Il professore si era messo a ridere e mi aveva ringraziato felice.

Il ricordo di come gli avevo riportato i suoi ragazzi, quel pomeriggio, con tre parole, sarebbe tornato spesso quell’estate, mentre seduti nello studio parlavamo di letteratura, traducevamo alcuni testi, a volte leggevamo la musica.
Il professore non riusciva ad ascoltare musica classica senza leggerla, io cercavo con difficoltà di seguire il suo segnalibro d’argento sulle note della sinfonia.
E perdevo la visione d’insieme: non potevo accorgermi se si preparava l’ultimo movimento.

Una mattina di quell’agosto mi presentai sotto la finestra dello studio sul Lungarno, suonando il clacson della vespa.
Mi salutò in canottiera e si affrettò a scendere.

Sedeva su un asciugamano sopra la sella, le mani salde sulle mie spalle ed aveva un po’ paura.
Percorrevamo piano la pineta che portava alla Marina, raccontava con voce entusiasta delle manifestazioni politiche di quando era ragazzo.

Mi indicò un Lido privato dove prenotava da anni.
All’arrivo, lo salutarono con confidenza e ci accompagnarono all’ombrellone.

Affidammo la giornata al caldo e alla spiaggia, mangiammo al bar del Lido e ci buttammo in un ultimo bagno, prima di rientrare.

Restammo a galla ad un centinaio di metri dalla costa, guardando verso la linea del mare e del cielo.

“Posso dire con sicurezza che ci sono due gioie forti a cui non vorrei mai rinunciare: il succo della prima pesca di stagione, se è una buona pesca, ed un bagno al largo, al mare.”

Io avevo appena finito di leggere di un leopardo sulla cima del Kilimangiaro, gli dissi che Hemingway era il miglior scrittore a cui potevo pensare.

“Nessuno può negare che Hemingway fosse un grande scrittore. Mi puoi capire se dico di  non riuscire ad accettare la sua scuola: il fatto che per quella corrente di pensiero ogni azione compiuta dagli uomini abbia come sfondo possibile solo un qui, un adesso.”

Il caldo dell’acqua gli faceva bene alle ossa. Mi chiese di prolungare ancora un po’ il nostro bagno.

“Io credo che ogni gesto compiuto sia un incontro di forze che operano nel nostro conscio e nel nostro inconscio, generate a loro volta da eventi che hanno avuto luogo nel nostro passato: il nostro passato è una sorta di trama del nostro carattere e della nostra produzione artistica.
Ogni nostra azione ha avuto un inizio nella nostra mente forse già al momento della nostra nascita.”

Guardammo ancora verso il sole che iniziava a tramontare, l’acqua del mare ci sosteneva placida.

Francesco aveva un piccolo libro foderato in verde.

Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.

Qualche ora dopo, finendo di leggerlo, aveva pianto forte e gli avevo offerto una spalla.

domenica 10 febbraio 2013

That's Italia


Ho iniziato a collaborare alla realizzazione di un programma di intrattenimento,

si chiama That's Italia.

Per il programma realizzo brevi servizi da pochi minuti: alcuni di questi si chiamano Stranitalia.

l'ultimo che ho realizzato è questo

http://www.la7.it/thatsitalia/pvideo-stream?id=i664779

presto altre novità.

giovedì 7 febbraio 2013

Un cane, milioni di cani


X, tra i politici che concorrono a questo giro, che compare in TV bello felice.

- Niente gatti, niente cani.
Io ed il mio partito stiamo per adottare 60 milioni di Italiani. Stiamo per farci carico dei loro problemi, dei loro sogni e delle loro frustrazioni.

Da domani vorrei vedere sempre più cittadini con un figlio in braccio: non importa di che religione, provenienza, o orientamento sessuale.
Farò tutto quello che posso, fino allo sfinimento, per dare loro diritti e sostegno economico che servono a costruire e portare avanti una nuova famiglia, o una vita, a seconda della loro scelta personale che sarò sempre in prima linea a difendere.

Vorrei vedere gli italiani contenti di pensare al futuro insieme al partito che hanno votato,
 non voglio essere ricordato come il signore ricco con un cane bellissimo che voi non potete permettervi.



sabato 10 novembre 2012

Tempo


Città grande, incrocio grande.

Buste della spesa in mano, si affianca e ha la faccia di chi lo ha fatto mille volte.
L'omino arancione del semaforo ha appena lasciato il posto a quello rosso del piano di sopra, davanti a noi, che siamo ancora affiancati.
Io, il semaforo, non lo guardo più. Guardo lui, e so a cosa sta pensando.

Vuole buttarsi, passare.

In questo soffio di tempo in cui è rosso per noi due, affiancati all'incrocio grande della città grande, e rosso per il muro di auto al nostro lato, che fra molto poco allo scattare del verde avanzerà nel rombo, chiudendo il nostro passaggio definitivamente.

E' una cosa di nervi e una cosa pericolosa. Una cosa da abitante della città grande, e lui fa molta attenzione alle auto; io mi sto chiedendo perchè non è ancora partito.
Forse, so perchè vuole farlo.
Forse perchè ha visto troppi Indiana Jones, o forse gli dà fastidio lasciare a quell'omino rosso il controllo sulle sue gambe. Forse, lo fa solo per il pensiero che può ancora farlo.
Cosa c'è, dopo quel pensiero, mi chiedo.
Forse, più probabile, vuole farlo per abitudine: l'ha fatto mille volte.
Mille volte moltiplicato il tempo in cui è rosso per tutti e uno si muove.
Sottrarre il risultato alla faccia che uno aveva la prima volta. Alle gambe, ai polmoni che aveva.
Fratto, probabilmente, la lunghezza del muro di auto da superare.

Eccolo lì, che cerca la fine del calcolo. Eccolo, che si chiede quando mai ha ricorso al calcolo, prima di ora.
Io sono già passato, intanto. Ho attraversato quel soffio di tempo che è già quasi un ricordo.
Dietro di lui compare una donna. "E sbrigatiiii!!!!" Per non lasciare andare la donna avanti, lui parte.
Mi giro e da in fondo all'incrocio li guardo percorrere il tratto di corsa. La mano di lei tocca quella di lui, che stringe una borsa della spesa impazzita.

In un riflesso cerco le mie. Le mie borse della spesa stanno calme, strette salde tra queste mani che sono già passate.

Alzo di nuovo gli occhi. Incontro i suoi che avanzano, mossi dalla macchina del tempo.

domenica 5 agosto 2012

Lavorare Liberi e la Rassegna Impossibile


Lavorare Liberi, ( cliccate sul link se non sapete di cosa parlo ), sarà proiettato giovedì 9 Agosto nella rassegna estiva "Aperture Straordinarie, la Rassegna Impossibile" dell'associazione culturale Sancio Pancia, al rifugio antiaereo a Massa.

http://www.sanciopancia.com/

Qui trovate il programma, che ha proposto serate interessantissime in questa estate, e continuerà a proporne fino a fine agosto: se avete tempo fateci un salto.

Io non ci sarò alla proiezione, ci sarà Federico Stagi, probabilmente qualcuno della Cooperativa, ed un dibattito interessante alla fine della proiezione.

Per chi non avesse ancora potuto assistere al documentario, il rifugio antiaereo di massa mi sembra un posto fantastico per la visione.

a presto



martedì 24 luglio 2012

Aula Audiovisivi 2 - Gioventù, amore e rabbia





Running has always been a good thing in our family,
especially running away from the police.
It’s hard to understand, all I know is that you’ve got to run.


Comincia con queste parole, e l'immagine da dietro del ragazzo che corre al lato della strada, lungo i campi. So da subito che non mi dimenticherò più del film.

Schiaccio lo stop, tiro fuori il VHS. Ha un’etichetta, come tutti quelli dell’aula audiovisivi.

“GIOVENTU' AMORE E RABBIA, RICHARDSON, 1962”

Sono chiuso nell’aula, fuori dalla finestra novembre ha sporcato il blu del cielo, e la stretta che mi arriva mentre sto qui con la cassetta in mano la conosco bene.
Perderò il conto, delle volte che tornerà a farmi visita.
Quando arriva la stretta sento le gambe che si liberano da qualche parte, oltre la finestra.

Questo, sento, ma sono ancora qui con la cassetta in mano e sto per fare una scelta.
Il sapore che mi lascia quella scelta non lo posso raccontare: mi aspetta un altro tipo di corsa, a questo giro.
Premo play.

Colin guarda i campi innevati fuori dal finestrino della camionetta di polizia. Sta per finire in riformatorio, deve essere poco più grande di me.

Sto guardando una storia di redenzione. Da come agguanta lo stomaco direi che è così.

Le presentazioni dei personaggi sono pura perfezione anglosassone. Ognuno disegna sè stesso, il proprio intento, e la sua parte di scenario del film.

Pochi minuti e tocca a Colin stesso.

Il detenuto a capo dell'ala di alloggi dove viene assegnato il gruppo di Colin spiega a tutti che non intende rinunciare a nessun privilegio a causa di eventuali insubordinazioni dei nuovi arrivati,

and always remember, that they've got the whip hand

e ricordate, aggiunge, che sono loro ( il direttore e le guardie ) ad avere la frusta da parte del manico.

Colin:
Do you know what I'd do if I had the whip hand?
I'd get all the coppers, governors,
posh whores, army officers, and members of Parliament
 and stick them up against this wall
and let them have it,
because that's what they'd like to do
to blokes like us.

I blokes like us sono ragazzi di periferia, nello slang dei sobborghi.
La storia di Colin non è diversa da quella di tutti gli altri che ha accanto.
Nati senza fortuna, abbruttiti dalla mancanza di prospettive, schiacciati da un paese senza pietà per gli ultimi, hanno tentato di ribellarsi ad un futuro di miseria, ed hanno fallito.
Ma anche in riformatorio, a quei blokes è rimasto qualcosa.

- Well, you'll learn.

sentenzia il caposquadra 

- We'll see.

Finisce Colin.

Il resto del film parla di questo.

"Di come un ragazzo che ha perso il padre in un incidente al lavoro scelga il suo posto in una società che sembra poter solo pretendere da quelli come lui."

Due giorni dopo, all'esame di semiologia del cinema, davanti all'assistente del professore, un altro ragazzo poco più grande di me, spiaccico esattamente le ultime tre righe.

Anche seduto davanti a lui vorrei correre, ma per un altro motivo.

Per esempio, perchè mi ha appena chiesto di specificare, e io non so cosa stampargli.
Magari, se mi guardo intorno e incrocio lo sguardo di qualche altro bloke, una battuta su governatori e fruste viene anche a me.
Ma gli altri intuiscono il culo che mi sta facendo l'assistente e non sembrano incoraggianti.

"parla di denuncia sociale..." la butto lì.

L'assistente non molla: "...ti ricordi qualche scena dove è più esplicita, questa denuncia?"

"Bravo cazzo, così spoilero tutto..." La battuta sarebbe ottima, ma la tengo per me. Il voto all'esame mi preme un pò di più.

Quello che mi è sempre piaciuto degli assistenti del corso di cinema è che sono tutti sveglissimi. Lui infatti ha capito da un pò, ed inizia ad imboccarmi.

"ti ricordi la scena dove il protagonista ed il suo amico sono davanti al televisore nuovo che trasmette il discorso di un politico e loro tolgono l'audio?"

Allora calo la maschera. Gli dico di no. Gli dico che due giorni prima ho visto l'inizio del film, e il giorno prima dell'esame la fine.

Gli dico che il film è stato considerato dalla critica il padre della Nouvelle Vague inglese, fratello di sangue (dico così: di sangue) dei Quattrocento colpi di Truffaut. Gli racconto la scena dell'interrogatorio di Colin e quella di Antoine Doinel, e la scena del finale di Gioventù amore e rabbia, così simile da quella di Truffaut, così diversa da quella di Truffaut.

La scena finale.
Gli racconto di come mi sono innamorato di quella parte di racconto, e di come sto per non essere riuscito a vedere il resto del film, avendo guardato di corsa trenta ore di video tra film e cassette antologiche per riuscire a dare l'esame nei pochi giorni che ho preso di libertà dal lavoro.

Gli dico che secondo me parla di denuncia sociale, si, ma di un'altra cosa, che sento anche di più.
Lui mi chiede cosa, io sento le gambe che si liberano, e vorrei parlargli del sapore di scelte che facciamo a volte ma che non posso raccontare.

Così mi fermo, e lo guardo.

"Ho studiato di corsa" dico, e sorrido.

O resta impressionato o decide che se la beve. Purtroppo è anche vera.

28, dice. Di più non posso darti.

Quello che mi è sempre piaciuto, degli assistenti e degli insegnanti del corso di cinema a Pisa, è che sono blokes like us.

Tengo il 28, lo ringrazio, esco.

Una settimana dopo ho un altro esame, poi una serie impossibile di consegne appena rientro al lavoro.

Qualche mese dopo, ricarico la stessa VHS nella stessa aula.

Al pensiero di tutta la roba che ho guardato in quei pochi giorni, a casa e in aula senza fermarmi quasi mai chiudo gli occhi e sento ancora le gambe correre.

Il film, scoprirò poi, è tratto da un libro, ed il titolo originale è The loneliness of the long distance runner.

Questa volta lo guardo tutto.

E' un premio meraviglioso, che consegno a me stesso.

sabato 7 luglio 2012

Aula Audiovisivi - Presentazione


Tempo fa ho scritto questo.

Parla di questa traccia che Tarkovskij mi ha lasciato addosso, con quel film.
Mi è accaduto spesso.

La prima volta che ho visto quel film ero in Aula Audiovisivi, Dipartimento di Storia delle Arti, Piazza San Matteo in Soarta, a Pisa.

Nel mio ricordo sono cinquanta metri quadri di aula circa, circa quindici postazioni video.
Ogni postazione video è una sedia con un televisore ed un registratore VHS davanti. Ai lati, due pannelli di legno bianchi per isolarti nella visione. Di là da ogni pannello, un'altra postazione ed un'altro come te. Una specie di rito individuale collettivo: come una confessione, o meglio, un battesimo. Sul tavolo di fronte a te, un paio di cuffie.
In fondo alla sala c'era una mensola piena di cassette VHS coi film più importanti dei corsi di Storia del Cinema e Semiologia del Cinema.
Muybridge, Porter, Griffith, Lumière, Lang, Vertov. Su fino a Wells, Truffaut, Fellini, Hitchcock, Ivens, Ferreri.
Solo una minima parte degli autori, come mi torna alla memoria.

Come guardare dall'alto di una collina una mandria di splendidi stalloni al galoppo, giù nella prateria.

Anche se per chi ti guardava, eri solo un nerd qualsiasi che poteva impiegare anche venti minuti a scegliere una pallosissima VHS.
Alla fine sceglievi il tuo insegnante della prossima ora e mezzo, prendevi la VHS, la offrivi in pegno al registratore recitando una qualsiasi preghiera al Dio dell'Analogico o ai suoi santi ( ave, Rybczynski, morituri te salutant.. ), sperando tutto funzionasse. E ti preparavi allo spettacolo.

Quell'aula è stata una scuola a parte, una storia del cinema a parte, ma anche un'adolescenza a parte. Per me e spero per molti altri.

Le cose sono cambiate. Il mondo come lo conoscevamo è andato perduto. Un nuovo Dio è arrivato e ci ha costretti alla conversione.

La leggenda narra di cassette rinchiuse in un archivio. Di quest imposte agli studenti per liberarle ed assistere ancora alle rivelazioni.

Questo è un diario degli insegnamenti che il Dio dell'Analogico ci ha reso in quegli anni, perchè non vadano perduti.

Qui, in seno all'impero del Dio del Digitale, di quando in quando vi condurrò in segreto in quel vecchio tempio per rendere a voi il testamento del nostro Dio perduto.

Sempre che il registratore non si mangi il nastro. O che non vi facciate due palle così.