mercoledì 16 ottobre 2013

Lungo i bordi


Quattordici anni, liceo appena iniziato e non mi rendevo conto.

Tommy e gli altri fanti di Massa ci erano già passati: perchè perdessero tempo con questo marmocchio resta ad oggi un mistero.

Non entravo a scuola, scroccavo un passaggio in motorino, in qualche modo arrivavo a marina.
Li beccavo su una panchina davanti alla sala giochi, lungo il corso.
Non c'era lezione, sui banchi di scuola, che potesse tenere testa a quella panchina.
Tutto quello che so di letteratura, musica, arte in genere comincia lì.

Ho ripensato al giorno in cui Tommy mi diede queste due musicassette: registrate da lui, coi titoli degli album e le tracce scritte sul dorso a pennarello.
Come facevamo per gli amici, come non succede più.

Massimo Volume - Stanze
                                 - Lungo i bordi

c'era scritto.

Il posto che quei due album si sono tenuti qui nel petto sono andato a ricercarlo poche settimane fa, quando mi hanno proposto di partecipare al video per il nuovo singolo dei Massimo Volume, la Cena, che è qui


un piccolo contributo che mi riempie di soddisfazione.

Il tempo, diceva Mimì, scorre lungo i bordi.

martedì 9 luglio 2013

Di quello che so




Il 12, venerdì sera all'interno della rassegna ci sono anche io,
ho preso l'impegno da un pò.

Parlano di Siria, loro, chè io non ho alcuna autorità per farlo: l'ho detto dall'inizio.

Io parlo di Beppe, di Argentina, della storia più bella che conosco.
Forse, anche dell'unica che conosco veramente.

Se avete tempo ci vediamo là.

martedì 4 giugno 2013

Andiamo.


Nulla, è che stamani ho letto questo:

http://www.leggo.it/NEWS/ROMA/roma_francesco_de_salazar_candida_due_liste/notizie/287573.shtml

Si è candidato in due liste contrapposte ed è stato ELETTO in entrambe le liste.

L'Italia con la politica è come..
L'Italia alla politica gli fa una cosa che io non...

Niente, più ci penso e più penso che qui John Belushi recitasse il ruolo dell'Italia, e la principessa Leila ( non lo sa nemmeno lei come si chiama, dai: è la principessa leila e basta )
la principessa Leila recitava la politica, in questa scena.




compreso il bacio, il tonfo nel fango e "andiamo"

domenica 19 maggio 2013

Fuori campo



Mi avevano detto che sarebbe stato così.

Avevano detto tornerai a pensarci, per ancora molto tempo. Per un oggetto qualsiasi, un odore, per un rumore.

Se avrai fortuna per una foto.

E' passato un mese, stamani mi è arrivata questa.

Nel mio ricordo quel momento non ha questi colori. Il sole colpiva tutto con più forza, mi lasciava ancora confuso.
Dietro alle nostre spalle, dove continua quel sentiero, trenta metri più in basso c'è uno spiazzo con una porta da calcio dalla rete strappata.
Dallo spiazzo la strada continua verso destra e scende ancora di poco, fino ad arrivare al confine, che è una sbarra di ferro nera con un casottino e due guardie.
Oltre, ritorna la Siria e la strada è la stessa, stessa la polvere che abbiamo sotto i nostri piedi.
Una bimba ci gioca in mezzo, si ferma e si sposta di lato. Rimane a guardare la nostra auto sfrecciare ai cento all'ora sul suo campo di gioco.
All'ombra di una piccola terrazza davanti casa, una famiglia prende il thè. Il capofamiglia parla quieto con due uomini e una donna, qualche ragazzo in piedi. Una parte della casa è crollata, ci fermiamo a chiedere se per il confine andiamo bene.
Ci dicono di tornare indietro e prendere la prima a destra. Alzano la mano e ci salutano nel loro modo.
Sia con voi la pace.
Indietro su buche e curve, pini e tende sui campi spaccati, lasciamo la zona di pericolo verso quel segno a penna sulla cartina che trattiene le bombe, i cannoni, la miseria.

Qualcuno, non ricordo chi, chiede di andare piano. Tutti ci opponiamo alla richiesta.

La benda è solo un pezzo di stoffa bianco, ora. Mi gira e gira ancora in mano.
La nostra scorta, l'uomo che è stato rinchiuso con noi per tre giorni, me la prende.
Il pezzo di stoffa vola sulla strada, fuori dal finestrino, atterra sulla polvere e se ne scappa con lo sfondo.

You are free.

Ci scambiamo pacche sulle spalle.
Indietro ancora incrociamo e superiamo furgoni pieni di mobili che faticano sulle salite, ragazzi in motorino, autostrade sconnesse e deserte.
Prima ancora la strada si ferma, torna il buio della stanza, e le voci di noi quattro che ci facciamo forza.

La Siria, il suo popolo, le sue vicende, la nostra.

Da quel giorno per me resta tutto su quella strada, a metà, non mostrato eppure chiaro.

Perfettamente inquadrato fuori campo.



giovedì 16 maggio 2013

Non siamo più noi


La prima volta è stato nel 2004.

Ero a Roma da pochi mesi, ed avevo appena conosciuto Sergio Spina.

minuto 2 e 30 secondi, questo brindisi all'analogico lo offro io:

 

Vorrei scrivere pagine intere su Sergio Spina e sulla sua figura leggendaria.
Non posso, non fosse altro per onestà: sono stato a cena a casa sua una volta sola.
Ma la ricordo come stessi ancora mangiando: c'era anche Amedeo Ricucci, anche se è un'altra storia.

Durante la cena è Sergio stesso a spiegarmi perchè la cucina italiana è la migliore, nel mondo.
Non per spavalderia: mi dà una spiegazione storica etnologica culturale: siamo, dice, il primo paese dove allevamento e macellazione di tutti i tipi di animali sono stati conosciuti e padroneggiati contemporaneamente, ed allo stesso tempo il primo paese con le condizioni climatiche adatte alla crescita della maggior varietà di vegetali commestibili.
Aggiungi il mare, dice, mentre mi serve il primo piatto di pasta e bottarga che abbia mai visto, e sei a posto.
Ed ero a posto davvero.

In mezzo alla cena Sergio si è alzato ed ha acceso il dvd.

http://grooveshark.com/s/Practising+Practising+Just+Great/39fZvh?src=5

le prime note giocavano col nostro silenzio, si spargevano sui piatti, ci allargavano un sorriso.
a 2 minuti e 38, con l'ingresso dell'orchestra, Sergio portava in avanti il braccio, a pugno chiuso.
Da sotto gli occhiali fissava con occhi felici: "Senti che potenza!"

Io avevo da poco finito l'università, pensavo alla Roma di Pompeo, alla leggenda del suo arrivo alla villa di Lucullo:

 - is enim tam splendide epulabatur ut nemo umquam magnificentiora convivia apparare posset.


 - quello (Lucullo) infatti pranzava così splendidamente che nessuno mai poteva preparare convivi più magnificenti.

Cena perfetta, musica ispirata, conversazione di cultura: Lucullo e Pompeo per me, in quel momento, non erano un'altra storia. Mancava solo che Ricucci e Spina indossassero toghe e calzari.

Non è una bella immagine, lo so.

Forse centra meglio il tutto Ricucci stesso quando dice che andare a cena da Sergio Spina era come andare a cena da John Belushi.

Ma è un'altra storia, appunto.

La mia prima volta, dicevamo.
Avevo appena conosciuto Spina, e lui stesso mi aveva portato alla Road.

In quei giorni Sergio stava completando una puntata della Storia Siamo Noi.

Ostalghia, si chiamava la puntata.



Una puntata che tirava le somme di quello che dopo l'unificazione della Germania era stato un sentimento diffuso nelle generazioni precedenti alla mia: lo nostalgia per la DDR.
Avevo rivissuto il crollo del muro di Berlino ed i momenti seguenti, mentre catturavo il materiale per quella puntata.

La mia prima volta, a La Storia Siamo Noi, era stata da assistente.

Anche la seconda volta, sempre alla Road, qualche giorno più tardi, avevo collaborato a questo:


Ancora, caricando trasmissioni radiofoniche e archivi RAI avevo imparato un sacco di cose sulla nascita dell'informazione indipendente e di un nuovo mezzo di intrattenimento, in Italia: le prime radio libere.
Questo avveniva mentre anche internet si preparava a diventare nuovo tramite di informazione ed intrattenimento indipendente, per me, e avevo tracciato le analogie tra la mia esperienza e quelle dei protagnoisti della puntata.
L'autore della trasmissione era Amedeo Ricucci: è così che l'ho conosciuto; la cena da Sergio Spina, anche se la racconto prima, è avvenuta dopo.

Per inciso: dalla Road Television, bene o male, non mi sono più allontanato.
E' ancora il posto a Roma dove assisto alla realizzazione dei migliori prodotti televisivi, con le migliori maestranze.

A parte la Road, ci sono state moltissime altre volte.

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/beijing-lhasa/828/default.aspx

Questa da montatore.
Era il 2007, la Cina stava sviluppando una politica economica che non riguardava più il cambiamento del nostro futuro: la bancarotta di Lehman Brothers ci sarebbe stata un anno dopo, ma io avevo già potuto sentire tutto nell'aria mentre lavoravo a quella puntata a Firenze, in un altro studio che mi ha sempre impressionato per competenze e professionalità:

http://visualaffaire.com/Site/Visual_Affaire.html

Molte altre volte ho collaborato da esterno al programma, trattando molte altre storie:  dal cinema indipendente indiano a Piazza Fontana.

L'ultima in ordine di tempo è anche la più famosa purtroppo.

http://www.amedeoricucci.it/silenzio-si-muore/


Per me, è stato solo un altro passo di crescita umana e professionale.

La notizia che ho letto stamani

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/spettacolo/2013/05/16/RAI-GUBITOSI-STORIA-CHIUDE-LASCIA-MINOLI_8715327.html

mi ha posto un dubbio sul futuro del programma.

Considerato che il programma, poi, ha seguito la mia crescita come un compagno, da quando ho cominciato questo lavoro, il dubbio si è esteso anche a me.

Credo siano in molti, a pensarla come me, ognuno con la sua storia personale.

Un sacco di storie.
Che no, ora che mi viene in mente non sono altre storie.
Sono, e fanno parte, di una unica grande Storia.

Che sarebbe un enorme danno, se smettessimo di essere noi.

sabato 4 maggio 2013

Il dolore dell'uomo


Di corsa, perchè sto partecipando a questo

https://twitter.com/FestGiornalismo/status/330367239863816192/photo/1

ieri ricorreva la giornata mondiale della libertà di informazione,
ho incontrato dopo qualche giorno Susan, Elio ed Amedeo.
abbiamo parlato della nostra esperienza all'inaugurazione del festival del giornalismo d'inchiesta di Marsala.

Ho parlato di quanto è stato importante, per me, leggere l'intervista a Domenico Quirico uscita su La Stampa ieri mattina.

Ve la allego qui, ha un sacco di temi a me cari. E dice tutto quello che si può dire sull'importanza di condividere un'esperienza forte come quella della guerra, per poterla raccontare.


Mio padre mi ha chiamato ieri: mi ha chiesto come fare per esprimere la nostra vicinanza, di tutta la famiglia Vignali, a tutta la famiglia Quirico.
Non sono bravo, in queste cose. Per ora lo faccio qui, presto scriveremo insieme al giornale.
Spero di conoscere Domenico Quirico di persona, un giorno.

Lo spero davvero tanto.

Intanto, leggete questo, vi prego.

http://www.lastampa.it/2013/05/03/esteri/quirico-il-dolore-dell-uomo-va-condiviso-per-raccontarlo-Y01p7HwoLYIqhXe4HVXTwO/pagina.html

lunedì 15 aprile 2013

Come va





Dieci notti, undici giorni.

Quattro persone.

Porto nel cuore con me tutti quanti ci hanno scritto, pensato, cercato, pregato di tornare a casa in questo tempo.
Siete importanti, per me.

Quando Amedeo mi ha parlato del progetto Silenzio, si muore, sono sicuro non pensava a questo.
Non parlo degli imprevisti che succedono.
Parlo di un'altra cosa.

La guerra in Siria dura da quasi due anni, ormai.
E' diventata uno scempio sanguinario, un'ingiustizia sempre più taciuta.
Milioni di persone la vivono ogni giorno, senza possibilità di redenzione, nell'indifferenza del mondo esterno.
Quattro giornalisti rilasciati, decine di innocenti morti in questi giorni.

I giornali parlano di noi.

Volete sapere come stiamo? Bene.
E' stato difficile?
Quante altre mamme vivono quello che ha vissuto la mia, da quanto tempo. Per quanto tempo, ancora.
Non è stato difficile, andate a cercare le persone per le quali è difficile.

Stiamo bene. Chiedetevi come stanno tutti quegli altri ragazzi, uomini, donne come noi.

Sentite, per un attimo, la loro mancanza come avete sentito la nostra.

Provate il desiderio di abbracciarli, di parlarci, di guardarli sorridere ancora come avete fatto per noi.

Seguite le loro storie, infuriatevi perchè nessuno parla più di loro, e vi mancano.


”Sono andato in Siria per parlare di quella sporca guerra,
non sono contento che invece si parli di me, non è quello che volevo”

Amedeo Ricucci
 

martedì 2 aprile 2013

Aprile


http://www.amedeoricucci.it/silenzio-si-muore/


In questi ultimi tempi non ho scritto molto.

Stavo preparando il viaggio per questo progetto, del quale faccio parte e che è iniziato da già due giorni.

Non ne ho parlato, e non ne parlerò molto durante lo svoglimento, perchè sarò molto impegnato a far funzionare tutto.

Ma sto scrivendo un diario, e quando sarà finito lo metterò online.

Intanto, il progetto di Amedeo potrete seguirlo anche su

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/


a presto

giovedì 7 marzo 2013

va bene, no?


Come al solito, non abbiamo la minima idea di cosa fare.

Forse un pò ce l'abbiamo, forse no, ma comunque se abbiamo qualche idea non la giochiamo così, ora.
Ce la lasciamo per dopo, quando sarà partito tutto.
Non vogliamo ragionarci sopra. Siamo troppo bravi, per doverci ragionare sopra.

Vogliamo che si apra la tenda sul palco: la luce ci accechi, la gente ci pietrifichi, l'aria ci affoghi.
Vogliamo che il silenzio ci zompi addosso, l'odore ci consumi, la folla ci chiami.

Vogliamo restare a chiederci come è possibile. Vogliamo che la meraviglia ci si infranga addosso come un'onda. Un'onda di mipiace e click, che laverà via ogni incertezza, ogni rigidità, ogni dubbio.

Quando tutto questo sarà arrivato al nostro stomaco, che studi scientifici confermano nei bipedi sia l'organo creato ad arte per questo scopo, lui, il nostro stomaco, darà una risposta immediata e travolgente.
Senza, passare dall'intestino. Siamo professionisti, noi.

Sarà passato pochissimo e già staremo ballando, urlando, scherzando, ridendo a crepapelle.

Qualcuno dice ancora che non abbiamo pianificato nulla perchè semplicemente nel cervello, che ancora studi scientifici dimostrano essere organo anche troppo sopravvalutato, nel cervello dicevo non abbiamo nulla.

Ahah. Buona questa.

Sempre qualcuno dice che magari a pensare qualcosa prima, progettare un pò, certi problemi si risolvono meglio, magari dopo, quando si presentano.

Lo mettiamo in mezzo, qualcuno, e gli facciamo vedere cosa vuol dire, avere problemi da risolvere.
Se qualcuno poi ha ancora voglia di fare il furbo, è il benvenuto.

Siamo troppo bravi.

Qui, seduti sul divano, in silenzio. Facce immobili. Corpi oblunghi.

Che a vederci così qualcuno direbbe sembriamo un pò in paranoia. Giusto un pò.

Direbbe, qualcuno.
In realtà è lì nell'angolo che sta zitto e aspetta di vedere come va a finire.

E noi lo teniamo lì, con queste facce da scemi che sono l'esca perfetta.

Perchè fino a che non lo sappiamo noi, cosa stiamo per fare, non lo sa nemmeno chi ci sta guardando.

Domani alle 12,30 inizia la terza diretta da casa di Gipi.

La prima è stata un successo.

Akab l'ha riassunta così




La seconda è stata poche ore fa.

E' stata ancora meglio, secondo me. Qualcuno non l'ha vista, e ha riportato i soliti motivi futili.. "salta la connessione, il video va a scatti".

Come se la colpa se salta la connessione internet in upload fosse nostra. Qualcuno direbbe così. Qualcuno non ci vuole bene.

D'altronde, i video si possono rivedere qui. Se siete qualcuno, provate a dire che non siamo bravi.

E se qualcuno ha voglia, provi ad indovinare cosa combiniamo domani, sempre qui,

mentre fino a quel momento ce ne stiamo sul divano, corpi immobili e facce esca.

mercoledì 6 marzo 2013

white blue


OVVIO CHE FA FREDDO. Sapevo che avrebbe fatto freddo. Avrei dovuto sapere che avrebbe fatto freddo.
(...) e mi piaceva anche, il freddo, lo accoglievo felice, lo padroneggiavo.



Il penultimo capitolo di Eggers inizia così.

L'ho iniziato sul treno di ritorno, carico di una giornata di lavoro, venti ore prima.
In venti ore, poi, sono tornato a Massa, mi sono preparato qualcosa per cena, ho fatto una doccia e sono uscito di corsa. Ho cercato qualcuno in centro, non ho trovato nessuno.
Colpa del freddo, ovvio che fa freddo. E' scesa una perturbazione da nord, porta la neve.
Ho continuato a girare, mi sono spostato più a sud, ancora non ho trovato nessuno.

Quando va così, il semplice vagare per la tua città, forse il semplice vagare e basta diventa una cosa diversa, più avida, che non so raccontare. Sapevo che avrebbe fatto freddo.

Sono finito ubriaco da qualche parte, a casa di amici. Probabilmente verso Viareggio. O forse Pietrasanta. Non lo so. Ho passato la notte da loro.

Mi sveglio venti ore dopo, mattina presto.
Guardo bene il calendario, che non è il mio, attaccato alla parete che non è la mia.
24 febbraio 2013, è passato un altro anno.

Vado in bagno, cerco acqua per diluire il mal di testa. Puzzo di una notte fuori, apro la finestra per prendere aria.
Ancora poca luce,
avrei dovuto sapere che avrebbe fatto freddo.





Sulle prime dò la colpa all'alcool. Il freddo dalla faccia scende nei polmoni e lava via ogni dubbio:
ce l'ho di fronte davvero.

Ho questo amico, un operatore molto bravo.
E' convinto che se ti svegli presto la mattina, qualunque sessione di riprese tu abbia davanti andrà meglio. Gli ho chiesto perchè, non mi ha mai spiegato bene.
Se guardi la prima luce del giorno, dice lui, resta dentro ogni immagine che giri, dopo.

Scendo in spiaggia.




Non sono solo.
Fa bene, ti aiuta a capire che non è tutto lì solo per te.
Perchè neve e mare per me sono sempre stati due mondi magici, accostabili solo una volta ogni molti anni, e mai così tanto.
Come le profezie.
Tranne che quando succede qualcosa così, finisci per farti certe domande che non vuoi farti mai.
Che riguardano quello che può succedere e quello che no. E chi decide se si o no.

Che riguardano i luoghi dove sei stato, su questa palla di terra, e quelli dove no.
E se c'è un posto per te, negli uni e negli altri.
E ancora, chi decide.
Chi decide dove sei, e se stai bene con quello che hai intorno.




Del giorno che chiamiamo 24 febbraio i Romani ad un certo punto avevano deciso ce ne sarebbero stati due, in un anno, una volta ogni 4 anni. Il secondo lo chiamavano come il primo, ma aggiungevano bis.
Ho sempre pensato fosse un pò come prendere un giornata, con tutto quello che c'è stato dentro, e dargli una seconda possibilità.

A volte, anche in altri giorni, penso la stessa cosa quando mi sveglio presto la mattina e guardo sorgere l'alba.
Fino a quando non torna la notte resto con l'impressione di aver rubato alla realtà quell'intera giornata: quello che accade, i posti che visito, la gente che li vive.

Di aver permesso cose che altrimenti non avrebbero potuto.





martedì 12 febbraio 2013

Francesco





E' uscito "Per Francesco Orlando" Testimonianze e ricordi a cura di Davide Ragone, Edizioni ETS.

http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846733917

280 pagine di racconti, aneddoti, ma anche saggi e impressioni sulla vita di Francesco Orlando, professore di Teoria della Letteratura all'Università di Pisa, personalità insostituibilie, ahimè, in termini di creazione e promozione di cultura.
Ma anche, prima di tutto, uomo generoso e sensibile. E, in fondo, mio amico.

Ho conosciuto Francesco a ventuno anni, in occasione del corso sull'utilizzo del soprannaturale in letteratura.
Corso interessantissimo, dal quale poi è nato questo saggio.

Statuti del soprannaturale nella narrativa
, in Franco Moretti (a cura di), Il romanzo, vol. I (La cultura del romanzo), Einaudi, Torino 2001, pp. 195-226

In quell'occasione abbiamo stretto amicizia ed ho iniziato una lunga serie di visite alla sua dimora in lungarno, la maggior parte concentrata nell'ultima estate prima che iniziassi a lavorare sotto contratto, e poi mi trasferissi dalla toscana verso roma.

La nostra amicizia, le mie visite al Professore, mi hanno reso una persona migliore.

Ho imparato un sacco di cose su Freud, sul perchè sentiamo una spinta creativa, sulle meccaniche che si mettono in atto quando succede.
Aiutando il professore a tradurre in inglese per un'università americana il suo libro

Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 1993, nuova ed. 1994

mi sono creato una fitta significativa libreria di esempi narrativi ed immagini vivide, che hanno incementato le fondamenta del mio bagaglio culturale.
Ho ascoltato un sacco di musica classica, occhi agli spartiti. Vi sembra poco, forse.
Ho spaziato nei discorsi pomeridiani su un orizzonte perfettamente nitido di cinque letterature, citate e confrontate in lingua originale.
Ho perso la testa per il Don Quixote di Cervantes.
Ho avuto la fortuna di assistere ad una lettura personale, solo per me, del libro che il professore aveva scritto tempo prima e non voleva pubblicare, e non ha pubblicato se non poco prima di morire.

Sono fortunato, è da un pò che lo dico.

Quando l'anno scorso ho sentito che Francesco era morto sono rimasto malissimo. L'avevo visitato qualche anno prima: mi era sembrato invecchiato ma ancora vispo, era felicissimo di rivedermi ed io di rivedere lui.
Era felice di sapere che riuscivo a vivere del mestiere che mi ero scelto, me ne faceva gran vanto, mi aveva confidato di aver dovuto lottare molto anche lui per potersi scegliere il suo, sperava di rivedermi presto.

Anni dopo, sono contento di aver incontrato e sentito parlare di decine di persone come me, che posso dire senza tema di smentita essere state rese persone migliori da Francesco.
Dal suo amore per la letteratura, dal suo insegnamento che una buona conoscenza della letteratura è davvero uno strumento per accrescere la propria consapevolezza e vivere una vita migliore: più attiva e più ispirata.

Ho scritto decine di persone, ma secondo me sono molti di più.
Ho scritto decine di persone perchè mi riferivo ai più illustri: tutti professori che oggi hanno cattedre universitarie concquistate con passione, sacrificio e grande competenza.

Molti li trovate qui sopra, tra gli autori dei contributi del libro in apertura. Ci sono anche io, è un onore immenso.

Il mio non è che un raccontino, un racconto con cui gli amici più intimi di Francesco mi hanno detto ha continuato ad evocarmi per anni, a tutti i suoi conoscenti, con grande gioia.

Mentre lo scrivevo, mi immaginavo a leggerlo, qui nella mia stanza.
Io a lui.

lo copio qui sotto, per voi.

Ma se potete compratevi il libro, contiene testimonaianze molto più interessanti ed importanti della mia.


FRANCESCO


  Aveva un piccolo libro foderato in verde.

Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.
Il primo sole caldo della stagione cullava gli studenti sdraiati sui parapetti in pietra.
Seduto sulla poltrona, lui non riusciva a contenere l’emozione.
Avevo lasciato la finestra e preso posto accanto a lui.

“Mi fai molto felice, sei il primo ventunenne ad assistere e sono molto curioso di sapere cosa ne pensi.”

Io avevo guardato alla libreria che riempiva le pareti intorno a noi.
Ogni autore disposto con cura per anno di nascita.
Una sorta di giardino segreto della letteratura, un luogo leggendario per tutta la mia facoltà.

“Professore, per me è un grande privilegio.”
“Spero che prima o poi riuscirai a chiamarmi Francesco, per me sarebbe segno di amicizia”

La libreria ci guardava.

“Le giuro che provo, ma è difficile..”

Il leggero tremore alle mani era finito e dopo un breve discorso di preparazione aveva cominciato a leggere con voce attenta, incalzando il racconto e fermandosi di capitolo in capitolo per chiedermi un parere.
Cercavo di porre attenzione ad ogni particolare, ma ancora la cosa più straordinaria mi sembrava guardarlo leggere con passione, e a volte perdevo qualche dettaglio del libro.

Nella storia, due ragazzi passavano l’estate di una città meridionale degli anni  cinquanta sul rumore di fondo di un’attrazione strana, alla quale non sapevano dare forma.
Erano appena saltati su una vespa, si stavano lanciando in una corsa spericolata.

“Ho scritto spericolata, non vorrei avere esagerato: dopo tutto i due dovrebbero vivere un leggero smarrimento e forse andare più cauti..”

Non era una domanda impegnativa, ma io ero ancora in meridione e passando uno dei due ragazzi mi aveva appena strizzato l’occhio.

“Professore, sono ragazzi!”

Il professore si era messo a ridere e mi aveva ringraziato felice.

Il ricordo di come gli avevo riportato i suoi ragazzi, quel pomeriggio, con tre parole, sarebbe tornato spesso quell’estate, mentre seduti nello studio parlavamo di letteratura, traducevamo alcuni testi, a volte leggevamo la musica.
Il professore non riusciva ad ascoltare musica classica senza leggerla, io cercavo con difficoltà di seguire il suo segnalibro d’argento sulle note della sinfonia.
E perdevo la visione d’insieme: non potevo accorgermi se si preparava l’ultimo movimento.

Una mattina di quell’agosto mi presentai sotto la finestra dello studio sul Lungarno, suonando il clacson della vespa.
Mi salutò in canottiera e si affrettò a scendere.

Sedeva su un asciugamano sopra la sella, le mani salde sulle mie spalle ed aveva un po’ paura.
Percorrevamo piano la pineta che portava alla Marina, raccontava con voce entusiasta delle manifestazioni politiche di quando era ragazzo.

Mi indicò un Lido privato dove prenotava da anni.
All’arrivo, lo salutarono con confidenza e ci accompagnarono all’ombrellone.

Affidammo la giornata al caldo e alla spiaggia, mangiammo al bar del Lido e ci buttammo in un ultimo bagno, prima di rientrare.

Restammo a galla ad un centinaio di metri dalla costa, guardando verso la linea del mare e del cielo.

“Posso dire con sicurezza che ci sono due gioie forti a cui non vorrei mai rinunciare: il succo della prima pesca di stagione, se è una buona pesca, ed un bagno al largo, al mare.”

Io avevo appena finito di leggere di un leopardo sulla cima del Kilimangiaro, gli dissi che Hemingway era il miglior scrittore a cui potevo pensare.

“Nessuno può negare che Hemingway fosse un grande scrittore. Mi puoi capire se dico di  non riuscire ad accettare la sua scuola: il fatto che per quella corrente di pensiero ogni azione compiuta dagli uomini abbia come sfondo possibile solo un qui, un adesso.”

Il caldo dell’acqua gli faceva bene alle ossa. Mi chiese di prolungare ancora un po’ il nostro bagno.

“Io credo che ogni gesto compiuto sia un incontro di forze che operano nel nostro conscio e nel nostro inconscio, generate a loro volta da eventi che hanno avuto luogo nel nostro passato: il nostro passato è una sorta di trama del nostro carattere e della nostra produzione artistica.
Ogni nostra azione ha avuto un inizio nella nostra mente forse già al momento della nostra nascita.”

Guardammo ancora verso il sole che iniziava a tramontare, l’acqua del mare ci sosteneva placida.

Francesco aveva un piccolo libro foderato in verde.

Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.

Qualche ora dopo, finendo di leggerlo, aveva pianto forte e gli avevo offerto una spalla.

domenica 10 febbraio 2013

That's Italia


Ho iniziato a collaborare alla realizzazione di un programma di intrattenimento,

si chiama That's Italia.

Per il programma realizzo brevi servizi da pochi minuti: alcuni di questi si chiamano Stranitalia.

l'ultimo che ho realizzato è questo

http://www.la7.it/thatsitalia/pvideo-stream?id=i664779

presto altre novità.

giovedì 7 febbraio 2013

Un cane, milioni di cani


X, tra i politici che concorrono a questo giro, che compare in TV bello felice.

- Niente gatti, niente cani.
Io ed il mio partito stiamo per adottare 60 milioni di Italiani. Stiamo per farci carico dei loro problemi, dei loro sogni e delle loro frustrazioni.

Da domani vorrei vedere sempre più cittadini con un figlio in braccio: non importa di che religione, provenienza, o orientamento sessuale.
Farò tutto quello che posso, fino allo sfinimento, per dare loro diritti e sostegno economico che servono a costruire e portare avanti una nuova famiglia, o una vita, a seconda della loro scelta personale che sarò sempre in prima linea a difendere.

Vorrei vedere gli italiani contenti di pensare al futuro insieme al partito che hanno votato,
 non voglio essere ricordato come il signore ricco con un cane bellissimo che voi non potete permettervi.