E' uscito "Per Francesco Orlando" Testimonianze e ricordi a cura di Davide Ragone, Edizioni ETS.
http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846733917
280 pagine di racconti, aneddoti, ma anche saggi e impressioni sulla vita di Francesco Orlando, professore di Teoria della Letteratura all'Università di Pisa, personalità insostituibilie, ahimè, in termini di creazione e promozione di cultura.
Ma anche, prima di tutto, uomo generoso e sensibile. E, in fondo, mio amico.
Ho conosciuto Francesco a ventuno anni, in occasione del corso sull'utilizzo del soprannaturale in letteratura.
Corso interessantissimo, dal quale poi è nato questo saggio.
Statuti del soprannaturale nella narrativa, in
Franco Moretti (a cura di),
Il romanzo, vol. I (La cultura del romanzo), Einaudi, Torino
2001, pp. 195-226
In quell'occasione abbiamo stretto amicizia ed ho iniziato una lunga serie di visite alla sua dimora in lungarno, la maggior parte concentrata nell'ultima estate prima che iniziassi a lavorare sotto contratto, e poi mi trasferissi dalla toscana verso roma.
La nostra amicizia, le mie visite al Professore, mi hanno reso una persona migliore.
Ho imparato un sacco di cose su Freud, sul perchè sentiamo una spinta creativa, sulle meccaniche che si mettono in atto quando succede.
Aiutando il professore a tradurre in inglese per un'università americana il suo libro
Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino
1993, nuova ed.
1994
mi sono creato una fitta significativa libreria di esempi narrativi ed immagini vivide, che hanno incementato le fondamenta del mio bagaglio culturale.
Ho ascoltato un sacco di musica classica, occhi agli spartiti. Vi sembra poco, forse.
Ho spaziato nei discorsi pomeridiani su un orizzonte perfettamente nitido di cinque letterature, citate e confrontate in lingua originale.
Ho perso la testa per il Don Quixote di Cervantes.
Ho avuto la fortuna di assistere ad una lettura personale, solo per me, del libro che il professore aveva scritto tempo prima e non voleva pubblicare, e non ha pubblicato se non poco prima di morire.
Sono fortunato, è da un pò che lo dico.
Quando l'anno scorso ho sentito che Francesco era morto sono rimasto malissimo. L'avevo visitato qualche anno prima: mi era sembrato invecchiato ma ancora vispo, era felicissimo di rivedermi ed io di rivedere lui.
Era felice di sapere che riuscivo a vivere del mestiere che mi ero scelto, me ne faceva gran vanto, mi aveva confidato di aver dovuto lottare molto anche lui per potersi scegliere il suo, sperava di rivedermi presto.
Anni dopo, sono contento di aver incontrato e sentito parlare di decine di persone come me, che posso dire senza tema di smentita essere state rese persone migliori da Francesco.
Dal suo amore per la letteratura, dal suo insegnamento che una buona conoscenza della letteratura è davvero uno strumento per accrescere la propria consapevolezza e vivere una vita migliore: più attiva e più ispirata.
Ho scritto decine di persone, ma secondo me sono molti di più.
Ho scritto decine di persone perchè mi riferivo ai più illustri: tutti professori che oggi hanno cattedre universitarie concquistate con passione, sacrificio e grande competenza.
Molti li trovate qui sopra, tra gli autori dei contributi del libro in apertura. Ci sono anche io, è un onore immenso.
Il mio non è che un raccontino, un racconto con cui gli amici più intimi di Francesco mi hanno detto ha continuato ad evocarmi per anni, a tutti i suoi conoscenti, con grande gioia.
Mentre lo scrivevo, mi immaginavo a leggerlo, qui nella mia stanza.
Io a lui.
lo copio qui sotto, per voi.
Ma se potete compratevi il libro, contiene testimonaianze molto più interessanti ed importanti della mia.
FRANCESCO
Aveva un piccolo libro foderato in verde.
Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi
affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.
Il primo sole caldo della stagione cullava gli studenti sdraiati sui parapetti
in pietra.
Seduto sulla poltrona, lui non riusciva a contenere l’emozione.
Avevo lasciato la finestra e preso posto accanto a lui.
“Mi fai molto felice, sei il primo ventunenne ad assistere e sono molto curioso
di sapere cosa ne pensi.”
Io avevo guardato alla libreria che riempiva le pareti
intorno a noi.
Ogni autore disposto con cura per anno di nascita.
Una sorta di giardino segreto della letteratura, un luogo
leggendario per tutta la mia facoltà.
“Professore, per me è un grande privilegio.”
“Spero che prima o poi riuscirai a chiamarmi Francesco, per me sarebbe segno di
amicizia”
La libreria ci guardava.
“Le giuro che provo, ma è difficile..”
Il leggero tremore alle mani era finito e dopo un breve
discorso di preparazione aveva cominciato a leggere con voce attenta,
incalzando il racconto e fermandosi di capitolo in capitolo per chiedermi un
parere.
Cercavo di porre attenzione ad ogni particolare, ma ancora la cosa più
straordinaria mi sembrava guardarlo leggere con passione, e a volte perdevo
qualche dettaglio del libro.
Nella storia, due ragazzi passavano l’estate di una città meridionale degli
anni cinquanta sul rumore di fondo di
un’attrazione strana, alla quale non sapevano dare forma.
Erano appena saltati su una vespa, si stavano lanciando in una corsa
spericolata.
“Ho scritto spericolata, non vorrei avere esagerato: dopo tutto i due
dovrebbero vivere un leggero smarrimento e forse andare più cauti..”
Non era una domanda impegnativa, ma io ero ancora in
meridione e passando uno dei due ragazzi mi aveva appena strizzato l’occhio.
“Professore, sono ragazzi!”
Il professore si era messo a ridere e mi aveva ringraziato
felice.
Il ricordo di come gli avevo riportato i suoi ragazzi, quel
pomeriggio, con tre parole, sarebbe tornato spesso quell’estate, mentre seduti
nello studio parlavamo di letteratura, traducevamo alcuni testi, a volte
leggevamo la musica.
Il professore non riusciva ad ascoltare musica classica
senza leggerla, io cercavo con difficoltà di seguire il suo segnalibro
d’argento sulle note della sinfonia.
E perdevo la visione d’insieme: non potevo accorgermi se si
preparava l’ultimo movimento.
Una mattina di quell’agosto mi presentai sotto la finestra dello studio sul
Lungarno, suonando il clacson della vespa.
Mi salutò in canottiera e si affrettò a scendere.
Sedeva su un asciugamano sopra la sella, le mani salde sulle
mie spalle ed aveva un po’ paura.
Percorrevamo piano la pineta che portava alla Marina,
raccontava con voce entusiasta delle manifestazioni politiche di quando era
ragazzo.
Mi indicò un Lido privato dove prenotava da anni.
All’arrivo, lo salutarono con confidenza e ci accompagnarono all’ombrellone.
Affidammo la giornata al caldo e alla spiaggia, mangiammo al bar del Lido e ci
buttammo in un ultimo bagno, prima di rientrare.
Restammo a galla ad un centinaio di metri dalla costa,
guardando verso la linea del mare e del cielo.
“Posso dire con sicurezza che ci sono due gioie forti a cui
non vorrei mai rinunciare: il succo della prima pesca di stagione, se è una
buona pesca, ed un bagno al largo, al mare.”
Io avevo appena finito di leggere di un leopardo sulla cima
del Kilimangiaro, gli dissi che Hemingway era il miglior scrittore a cui potevo
pensare.
“Nessuno può negare che Hemingway fosse un grande scrittore.
Mi puoi capire se dico di non riuscire ad
accettare la sua scuola: il fatto che per quella corrente di pensiero ogni
azione compiuta dagli uomini abbia come sfondo possibile solo un qui, un
adesso.”
Il caldo dell’acqua gli faceva bene alle ossa. Mi chiese di
prolungare ancora un po’ il nostro bagno.
“Io credo che ogni gesto compiuto sia un incontro di forze
che operano nel nostro conscio e nel nostro inconscio, generate a loro volta da
eventi che hanno avuto luogo nel nostro passato: il nostro passato è una sorta
di trama del nostro carattere e della nostra produzione artistica.
Ogni nostra azione ha avuto un inizio nella nostra mente
forse già al momento della nostra nascita.”
Guardammo ancora verso il sole che iniziava a tramontare,
l’acqua del mare ci sosteneva placida.
Francesco aveva un piccolo libro foderato in verde.
Lo aveva aperto in un pomeriggio d’aprile, mentre mi
affacciavo dalla finestra del suo studio sull’Arno.
Qualche ora dopo, finendo di leggerlo, aveva pianto forte e
gli avevo offerto una spalla.